lunedì 15 febbraio 2016

Dal Salmo 104 a Luca 24

Per l'esame di Introduzione al Nuovo Testamento (incrociate le dita per me) devo rispondere ad un questionario a domande aperte. Eccovene una:
La Scrittura nasce nella tensione tra assenza e presenza di Dio, di Cristo, del popolo a se stesso. Rileggere il racconto di Emmaus in questa prospettiva (Lc 24,13-35). Se questa storia è stata raccontata per rispondere alla domanda: “come Gesù Cristo, assente e crocifisso, è presente come risorto tra noi?”, quali sono le risposte fornite dalla storia raccontata da Luca? e come si colloca la Bibbia (o la futura Bibbia) in questa risposta?
Questa è stata la mia risposta - che vi riporto in forma ampliata:
Il capitolo comincia con il blocco del rito funebre. I riti funebri non servono solo ad onorare il defunto, ma anche ad iniziare l’elaborazione del lutto. Di sabato è vietato per gli ebrei elaborare il lutto (la norma viene applicata tuttora: anche la prima settimana di lutto strettissimo [“shivah”] viene interrotta all’inizio del sabato e riprende al suo termine – perché il sabato dev’essere una gioia), e per questo a Gesù era stato fatto lo stretto indispensabile nel tardo pomeriggio del venerdì in cui era morto, in modo da non profanare il sabato. 
Terminato il sabato, occorreva trattare il cadavere e riprendere l’elaborazione del lutto – ma il defunto non c’era più, e gli angeli dissero alle donne che egli, come aveva annunciato, non era più morto, ma risorto. Fine del lutto – non lo si doveva piangere, ma attendere. 
Le donne non vengono credute, anche se Pietro constata che il defunto non c’è più ed è scomparso in modo misterioso. 
La conversazione sulla strada di Emmaus inizia con i discepoli perplessi per quello che è accaduto; lo sconosciuto che si rivelerà poi Gesù riprende il discorso degli angeli: le Scritture avevano già predetto tutto, ed in esse si doveva trovare la spiegazione. 
L’esegesi dello sconosciuto convince solo in parte i discepoli – quanto basta per convincerli a continuare la conversazione offrendogli ospitalità; il salto di qualità, quello che permetterà di riconoscere in lui Gesù quando poi spezzerà il pane, si ha quando lui, cenando, dice: 
“Barukh Attah YHWH Eloheynu Melekh ha-‘Olam, ha-motzi lechem min ha-aretz” 
Benedetto sii Tu, YHWH Nostro Dio, Re dell’Universo, che fai uscire il pane dalla terra”. 
È la formula di benedizione da recitarsi prima di mangiare del pane, e gli ebrei notano che che per indicare la terra si usa la parola “eretz” anziché “adamah” (come invece nella benedizione sulle verdure, in cui si dice che l'Eterno "bore peri ha-adamah = crea i frutti della terra") perché questa “berakhah = benedizione” cita il Salmo 104:14. 
Quel Salmo è una lode non solo della Creazione, ma anche della Provvidenza divina, e tra l’altro recita: 
27 Tutti quanti sperano in te
perché tu dia loro il cibo a suo tempo. 
28 Tu lo dai loro ed essi lo raccolgono;
tu apri la mano, e sono saziati di beni. 
29 Tu nascondi la tua faccia, e sono smarriti;
tu ritiri il loro fiato e muoiono,
ritornano nella loro polvere. 
30 Tu mandi il tuo Spirito e sono creati,
e tu rinnovi la faccia della terra. 
ed anche (giusto per rifarsi al “nuovo patto” promesso da Geremia 31:31-34 – il Midrash riporta, a proposito di questo Salmo, una divertente discussione tra rav Meir e sua moglie Bruriah, che convince infine il marito che non sono i “peccatori” e gli “empi” a dover sparire, ma il peccato e l’empietà):
35 Spariscano i peccatori dalla terra
e gli empi non siano più!
Anima mia, benedici il SIGNORE.
Alleluia.
Il Salmo è uno dei più noti (non per niente Kittel lo chiamava “la perla del Salterio”), con rimandi a tutto il Tana”kh (per non parlare dell’Inno egiziano ad Aton ed alle mitologie dei popoli vicini), ed è passibile di interpretazione messianica e lettura cristologica. 
Non pensate solo ai versetti 29 e 30; confrontate infatti Salmo 104:14:
“(...) Fa uscire il pane dalla terra d’Israele.”(1)
con 1 Corinzi 11:23-24: 
“23 Poiché ho ricevuto dal Signore quello che vi ho anche trasmesso; cioè, che il Signore Gesù, nella notte in cui fu tradito, prese del pane, 
24 e dopo aver reso grazie, lo ruppe e disse: «Questo è il mio corpo che è dato per voi; fate questo in memoria di me».”  
E, ovviamente, con Luca 22:19: 
“Poi prese del pane e, dopo aver reso grazie, lo spezzò e lo diede loro dicendo: «Questo è il mio corpo che è dato per voi; fate questo in memoria di me».”
I discepoli hanno fatto queste letture in quel momento, ed hanno concluso che parlava di Gesù, e che Gesù era con loro, perché solo lui sarebbe riuscito a comunicare quest’interpretazione – e quando ha spezzato il pane, c’è stato il “déjà vu” che ha tolto ogni dubbio! (2)
Allora lui sparisce, ma è chiaro che cosa i discepoli devono fare – quel Salmo dice:
33 Canterò al SIGNORE finché avrò vita;
salmeggerò al mio Dio finché esisterò.
34 Possa la mia meditazione [“sichi”] essergli gradita!
Io esulterò nel SIGNORE.
La parola “siach”, qui tradotta con “meditazione”, è affine a “sichah = conversazione”, e si è tentato in epoca moderna di tradurre “telefono” con “sach rachoq = discorso lontano”. Quella che si propone qui non è una semplice riflessione, ma una conversazione con il Signore (YHWH/Kyrios) [orazione mentale?], che parta appunto dalle Scritture.
Le successive apparizioni, in cui si hanno sia presenza che riconoscimento (mentre nell’episodio di Emmaus l’una era incompatibile con l’altro), confermano che i discepoli avevano visto giusto – così come gli autori neotestamentari che hanno riferito quello che per gli ebrei è un gesto abituale, il benedire il pane, capendo che in quei momenti aveva invece una valenza eccezionale.

Raffaele Yona Ladu
Orgogliosamente ebre*


Nota (1): Mi spiace far notare che la Nuova Riveduta ha sbagliato a tradurre quella parte del Salmo 104:14 così: “fa uscire dalla terra il nutrimento”. Non consola affatto sapere che analoga svista si trova nella TOB, che nella versione italiana riproduce la traduzione CEI: "per trarre cibo dalla terra".

Infatti, gli ebrei usano la benedizione "ha-motzi lechem min ha-aretz" esclusivamente per il pane - per benedire un altro "nutrimento", se ne deve usare un'altra, specifica (come per il vino, la frutta, la verdura), oppure quella generica ("... bore miney ha-mezonot = crea le specie di cibi") per i cibi che non ne hanno meritato una specifica.

Le citate traduzioni rendono con un concetto generico quello che andava inteso in modo specifico.


Nota (2): Può sembrare strano che un ebreo che poco sopporta le letture tipologiche dell'AT ne abbia riscoperta una; pensavo che fosse una novità assoluta, visto che non vi accenna il commentone di Gianfranco Ravasi ai Salmi, ma ho notato qui che l'aveva già fatta Agostino d'Ippona.

Agostino si esprime però in modo diverso - citiamolo:
Del frutto delle tue opere sarà saziata la terra. Tu fai crescere il fieno per i giumenti e l'erba per il servizio degli uomini. Ma perché questo? Perché dalla terra possa trarre il pane. Quale pane? Cristo. Da quale terra? Da Pietro, da Paolo, dagli altri dispensatori della verità. Ascolta perché il pane è tratto dalla terra: Abbiamo - si dice - questo tesoro in vasi d'argilla, affinché l'eccellenza della virtù sia di Dio [2 Corinzi 4:7]. Egli è il pane che è disceso dal cielo [Cfr. Giovanni 6:41] per essere poi tratto dalla terra, quando viene predicato attraverso la persona fisica dei suoi servi. La terra produce il fieno, onde si tragga il pane dalla terra. Quale terra produce il fieno? Le popolazioni religiose e sante. E da quale terra dev'essere tratto il pane? La parola di Dio è tratta dagli Apostoli, dai dispensatori dei sacramenti di Dio, mentre ancora camminano su questa terra e portano un corpo terreno.
Sembra proprio che Agostino, pur rendendosi conto che il "pane" di cui parla il Salmo 104:14 si può applicare tipologicamente a Cristo, non si fosse reso conto che il "far uscire il pane dalla Terra" potesse applicarsi alla Risurrezione. Oppure, non lo riteneva omileticamente proficuo - lui doveva ricordare a era chi già convinto della Risurrezione che doveva la sua fede presente e futura alla comunità con cui divideva la Parola di Dio, non far balenare nei commensali di Emmaus la possibilità che Dio avesse davvero fatto risorgere Gesù, con l'apparente facilità con cui fa uscire il pane dalla Terra.

Inoltre, posso attenuare, o meglio, diluire la portata di questa lettura.

La tradizione ebraica vuole che la risurrezione dei morti avvenga esclusivamente in Terra d'Israele (la parola "eretz" generalmente, nella Bibbia, significa il globo terracqueo [e questo sembra il significato che la parola ha nel versetto 5 di questo Salmo; compare altre 6 volte, e si può volendo arguire sul significato che ha negli altri versetti] ma di solito un ebreo d'oggi, quando usa il termine, si riferisce proprio alla Terra d'Israele, e non è un uso ignoto alla Bibbia).

Chi è sepolto altrove, pur non ricevendo ancora la sua anima, ed essendo quindi ancora tecnicamente defunto, si metterà comunque a scavare una galleria tra la sua sepoltura e la Terra d'Israele - giunto lì, riavrà la sua anima, e risorgerà per davvero.

Quindi è possibile che l'uscita del pane dalla Terra d'Israele rappresenti la risurrezione finale di tutti, non solo di Gesù.

Il problema ora è capire: è stato solo Gesù a stabilire un paragone tra la propria persona ed il pane, o lo si può già trovare nella tradizione ebraica, valido per tutti gli esseri umani?

La lessicografia non è di grande aiuto, anche se è stato notato che la parola biblica "lechem = pane" ha un sinonimo, "lechem = combattimento" - l'affinità non mi porta però lontano; in arabo la parola "lachm" vuol dire "carne", ed i verbi che ne derivano significano "aderire", "saldarsi" - anche qui, trovo un vicolo cieco.

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