sabato 20 febbraio 2016

Dall'evangelizzazione all'incarnazione

Eccovi altre considerazioni filologiche sul rapporto Primo/Secondo testamento.

Per i cristiani la parola "vangelo" ed il suo significato (non univoco nella letteratura neotestamentaria) è di fondamentale importanza; nella sua Introduzione al Nuovo Testamento /  Migliore, Franzo. - Messina : Rubettino , 1992, Franzo Migliore osserva che il termine "euangelion" si trova già nel greco classico per indicare il premio da dare a chi reca una buona notizia, e perfino il sacrificio con cui ringraziarne gli dei. Infine, diventa la buona notizia stessa.

Nella Settanta, il verbo derivato "euangelizomai" viene usato nella versione del Deutero Isaia per indicare una buona notizia molto particolare: l'annuncio della salvezza messianica.

Il Migliore cita Isaia 52:7-10 per dimostrarlo - per le mie considerazioni basta citare però il versetto 7:

[BHS] מַה־נָּאו֨וּ עַל־הֶהָרִ֜ים רַגְלֵ֣י מְבַשֵּׂ֗ר מַשְׁמִ֧יעַ שָׁלֹ֛ום מְבַשֵּׂ֥ר טֹ֖וב מַשְׁמִ֣יעַ יְשׁוּעָ֑ה אֹמֵ֥ר לְצִיֹּ֖ון מָלַ֥ךְ אֱלֹהָֽיִךְ׃

[LXX] ὡς ὥρα ἐπὶ τῶν ὀρέων, ὡς πόδες εὐαγγελιζομένου ἀκοὴν εἰρήνης, ὡς εὐαγγελιζόμενος ἀγαθά, ὅτι ἀκουστὴν ποιήσω τὴν σωτηρίαν σου λέγων Σιων Βασιλεύσει σου ὁ θεός·

[Nuova Riveduta] Quanto sono belli, sui monti, / i piedi del messaggero di buone notizie, / che annuncia la pace, / che è araldo di notizie liete, / che annuncia la salvezza, / che dice a Sion: / «Il tuo Dio regna!»

Chi può confrontare il greco con l'ebraico nota che l'espressione "מַשְׁמִ֣יעַ יְשׁוּעָ֑ה = annuncia la salvezza" è diventata "ὅτι ἀκουστὴν ποιήσω τὴν σωτηρίαν σου = perché farò udire la tua salvezza"; e "מָלַ֥ךְ אֱלֹהָֽיִך = il tuo Dio è diventato re" è divenuta "Βασιλεύσει σου ὁ θεός = il tuo Dio regnerà".

Un verbo al presente ed un verbo al perfetto sono diventati due verbi al futuro - questo conferma l'affermazione di Migliore, secondo cui il verbo "euangelizomai" non significa semplicemente riferire un fausto evento passato, ma annunciare una salvezza futura.

Vorrei aggiungere una cosa citando non più Isaia 52:7, ma Isaia 61:1 (mi spiace, qui le versioni ebraica e greca divergono alquanto, e mi tocca tradurle separatamente):

[BHS - HEB] ר֛וּחַ אֲדֹנָ֥י יְהוִ֖ה עָלָ֑י יַ֡עַן מָשַׁח֩ יְהוָ֨ה אֹתִ֜י לְבַשֵּׂ֣ר עֲנָוִ֗ים שְׁלָחַ֨נִי֙ לַחֲבֹ֣שׁ לְנִשְׁבְּרֵי־לֵ֔ב לִקְרֹ֤א לִשְׁבוּיִם֙ דְּרֹ֔ור וְלַאֲסוּרִ֖ים פְּקַח־קֹֽוחַ׃

[BHS - ITA] Lo spirito del mio Signore Iddio [1] è su di me, dacchè YHWH mi ha unto per annunziare la salvezza agli umili, mi ha inviato a bendare le ferite di chi ha il cuore infranto, a proclamare la libertà ai prigionieri, il rilascio ai reclusi.

[LXX - GRE] Πνεῦμα κυρίου ἐπ᾽ ἐμέ, οὗ εἵνεκεν ἔχρισέν με· εὐαγγελίσασθαι πτωχοῖς ἀπέσταλκέν με, ἰάσασθαι τοὺς συντετριμμένους τῇ καρδίᾳ, κηρύξαι αἰχμαλώτοις ἄφεσιν καὶ τυφλοῖς ἀνάβλεψιν,

[LXX - ITA] Lo spirito del Signore è su di me, dacché mi ha unto; per annunziare la salvezza ai poveri mi ha inviato, per guarire chi è devastato nel cuore, per proclamare ai reclusi la liberazione ed ai ciechi il ritorno della vista.

Se voi rileggete i brani biblici, colui che deve "annunziare la salvezza" ha anche il compito di "bendare le ferite di chi ha il cuore infranto, (...) proclamare la libertà ai prigionieri, il rilascio ai reclusi", oppure di "guarire chi è devastato nel cuore, (...) proclamare ai reclusi la liberazione ed ai ciechi il ritorno della vista".

E come fa tutto questo? Con la parola - l'annuncio di salvezza è "performativo", ovvero si realizza non appena viene proclamato. Colui che YHWH ha unto, inviandolo (in ebraico si dice "shalach", in greco "apostello") a fare quello che in ebraico si dice "bisser" ed in greco "euangelizomai", non deve soltanto "annunciare" la salvezza, deve "portarla, realizzarla".

E qui c'è una congettura di cui devo chiedere conferma o smentita a chi più esperto di me [2]: il verbo "bisser = euangelizomai = annunciare una buona notizia, portare la salvezza" ha in ebraico la stessa radice di "basar = carne".

Viene in mente il Vangelo secondo Giovanni, capitolo 1, versetto 14:

[Nestle-Aland 28] Καὶ ὁ λόγος σὰρξ ἐγένετο καὶ ἐσκήνωσεν ἐν ἡμῖν, καὶ ἐθεασάμεθα τὴν δόξαν αὐτοῦ, δόξαν ὡς μονογενοῦς παρὰ πατρός, πλήρης χάριτος καὶ ἀληθείας.

[Nuova Riveduta] E la Parola è diventata carne e ha abitato per un tempo fra di noi, piena di grazia e di verità; e noi abbiamo contemplato la sua gloria, gloria come di unigenito dal Padre.

Gianfranco Ravasi non perde occasione di osservare che la parola "eskènosen = ha abitato" potrebbe essere stata scelta per la somiglianza con l'ebraico "shakhan = dimorare", da cui (ad esempio) "Mishkhan = Santuario" e "Shekhinah = l'aspetto immanente di Dio".

Quello che penso è che la locuzione greca "sàrx egéneto = è diventata carne" sia un tentativo di rendere il citato verbo ebraico "bisser = render carne", anche se con un'interessante novità: il verbo "bisser" è un "pi'el", cioè "causativo", ovvero il "mevasser = euangelistes = araldo di buone nuove" può solo "render carne" un'altra cosa, non se stesso.

In ebraico biblico esiste la forma hitpa'el "hitbasser", ma essa significa "ricevere una buona notizia (e goderne)"; nella lingua contemporanea si usa anche la forma pu'al "bussar" con il medesimo significato - ma quel verbo non ha in ebraico né classico né moderno la forma "nif'al", quella che potrebbe avere il significato di "diventare carne, fare di sé la salvezza che si annuncia", ovvero "incarnarsi".

Questo concetto è una novità dell'evangelista noto come Giovanni, non facile da riportare nella lingua ebraica; infatti nella classica traduzione del Nuovo Testamento in ebraico biblico dovuta a Franz Delitzsch (1813-1890), il versetto in questione appare così:
וְהַדָּבָר נִהְיָה בָשָׂר וַיִּשְׁכֹּן בְּתוֹכֵנוּ וַנֶּחֱזֶה כְבוֹדוֹ כִּכְבוֹד בֵּן יָחִיד לְאָבִיו רַב־חֶסֶד וֶאֱמֶת׃

L'espressione "nihyeh basar" è una traduzione letterale di "sàrx egéneto = è diventata carne", ed usa la forma "nif'al" del verbo "hayah = essere" per indicare il "trasformarsi" in carne - Delitzsch non ha voluto innovare/forzare la lingua ebraica.

Ciò non toglie che gli ebrei di oggi adoperino il concetto di "incarnazione", magari nel senso più generico di "assumere una forma corporea"; in questo caso però non si usa la radice di "basar = carne" ma quella di "golem".

La parola compare nella Bibbia solo una volta [Salmo 139:16], e viene interpretata come "massa informe, appena avvolta", e pertanto "feto" umano oppure (nella lingua contemporanea) "crisalide" di insetto. Perdonate se non vi parlo ora del Golem di Praga!

Il preclaro lessicografo e grammatico Heinrich Friedrich Wilhelm Gesenius (1786-1842), luterano, vide tipologicamente nel "golem" del Salmo il corpo mistico di Cristo, e questo aiuta a capire come gli ebrei abbiano derivato dalla radice i verbi:
  • "galam = avvolgere" [qal] (già nella Bibbia);
  • "gillem = incarnare, impersonare, interpretare il ruolo di ..." [pi'el];
  • "gullam = essere ritratto, espresso" [pu'al];
  • "hitgallem = manifestarsi, incarnarsi, diventare crisalide" [hitpa'el].
Da quest'ultimo verbo deriva la parola "hitgallemut = incarnazione".

Tutte le parole ebraiche sono pregne dei significati dati dalla Bibbia e dalla tradizione successiva (Gershom Scholem ne era addirittura spaventato), ma non sono sicuro che gli ebrei ci abbiano guadagnato a separare la loro comprensione dell'"incarnarsi" dal concetto della "buona notizia che annunciandosi si avvera".

Raffaele Yona Ladu


[Nota 1]: Nell'originale: "Adonay YHWH" - è uno dei non molti casi in cui il Tetragramma è preceduto dalla parola "Adonay = il mio Signore", e si pronuncia perciò "Elohim"; ebraicamente viene inteso come l'indicatore di una situazione assai delicata che l'Eterno affronta facendo uso sia dell'attributo della Giustizia (associato al nome "Elohim") che di quello della Misericordia (associato al Tetragramma).

Ed infatti in Isaia 61:2 l'"unto", l'"araldo di buone nuove", deve "לִקְרֹ֤א שְׁנַת־רָצֹון֙ לַֽיהוָ֔ה וְיֹ֥ום נָקָ֖ם לֵאלֹהֵ֑ינוּ = proclamare l'anno di grazia del SIGNORE, / il giorno di vendetta del nostro Dio", mostrando ambo gli attributi divini in azione, ognuno nella sua competenza (Elohim, con l'attributo della giustizia, si occupa della vendetta; YHWH, con l'attributo della misericordia, della grazia), e per la giusta durata (la vendetta dura un giorno solo, la grazia un anno intero).


[Nota 2]: Una conferma l'ho trovata in questo libro del 1831 scritto dal metodista Adam Clarke (1760/62-1832), che ha notato la parentela tra "basar = carne, genere umano" e "basar = buone notizie", e ne dà una lettura tipologica (l'Incarnazione è la Buona Notizia per eccellenza).

Lettura certamente lecita, ma il modo in cui la presenta fa pensare che per lui l'unico scopo della lingua ebraica fosse essere il veicolo della Rivelazione - infatti svaluta il senso letterale (ed anche profano) del verbo "bisser" (e del sostantivo "basar", di cui scorda che spesso significa semplicemente "carne da mangiare", come in Esodo 16:12), e non dà il giusto rilievo alla creatività di chi ha dovuto spiegare una novità già difficile da concepire in ebraico in una lingua straniera.

Gesù palestinese?

Ogni tanto mi capita di trovare dei ben intenzionati cristiani che dicono che Gesù è palestinese; provo a spiegare perché non apprezzo questo.

Ci sono due spiacevoli restrizioni, tra gli ebrei ed i palestinesi: gli ebrei non considerano parte del proprio popolo chi professa una religione non-ebraica (l'ateismo è invece consentito); l'Autorità Nazionale Palestinese riconosce solo le religioni islamica e cristiana; per quanto riguarda l'atteggiamento palestinese verso gli ebrei, credo che sia il caso di leggere questa traduzione inglese (di parte palestinese, quindi non prevenuta, immagino) della Carta dell'OLP:
Article 6: Jews who were living permanently in Palestine until the beginning of the Zionist invasion will be considered Palestinians. (For the Zionist invasion is considered to have begun in 1917.)
Articolo 6: Gli ebrei che vivevano permanentemente in Palestina fino all'inizio dell'invasione sionista saranno considerati palestinesi (l'invasione sionista la si considera iniziata nel 1917). 
Trovo entrambe queste restrizioni assurde, ma quello che conta è che, partendo dal presupposto che Gesù era ebreo, e che il cristianesimo lo hanno creato i suoi discepoli dopo la sua morte sulla base dei suoi insegnamenti, un Gesù redivivo (o di ritorno sulla Terra, secondo la teologia cristiana) non verrebbe riconosciuto come palestinese dall'Autorità Nazionale Palestinese, mentre il Ministero dell'Interno israeliano non avrebbe problemi a concedergli la cittadinanza.

Durante la vita di Gesù, gli ebrei che vivevano in Terra d'Israele/Palestina erano oppressi; ora essi sono nella condizione di oppressori dei palestinesi (cosa che nessuno nega - le differenze di opinione sono tra chi loda e chi, come me, depreca la situazione); chi dice che Gesù è palestinese lo identifica con una categoria di oppressi, allo stesso modo di chi lo raffigura come un uomo di colore, un migrante, una persona transgender, eccetera.

Il primo problema è che un ebreo può essere di colore, migrante, trans, ecc. - però essere ebrei ed essere palestinesi è invece incompatibile, se non per alcune persone che ora hanno almeno 99 anni.

Il secondo problema è che attribuire Gesù, in quanto oppresso, al popolo palestinese anziché a quello ebraico, equivale a negare che il popolo ebraico possa mai essere un popolo di oppressi - e qui si cade nell'antisemitismo di chi attribuisce agli ebrei una capacità di dominio sovrumana.

Oppure a quello di chi nega che gli ebrei siano un popolo a pieno titolo, e non solo una religione, per cui nessuno può appartenere al popolo ebraico, e lo Stato d'Israele non ha senso perché uno stato ha bisogno di un popolo, un territorio, un governo.

Penso che sia meglio pensare che Gesù sia sempre e comunque ebreo, ma che oggi probabilmente interverrebbe in favore dei palestinesi, in quanto oppressi.

Raffaele Yona Ladu

lunedì 15 febbraio 2016

Dal Salmo 104 a Luca 24

Per l'esame di Introduzione al Nuovo Testamento (incrociate le dita per me) devo rispondere ad un questionario a domande aperte. Eccovene una:
La Scrittura nasce nella tensione tra assenza e presenza di Dio, di Cristo, del popolo a se stesso. Rileggere il racconto di Emmaus in questa prospettiva (Lc 24,13-35). Se questa storia è stata raccontata per rispondere alla domanda: “come Gesù Cristo, assente e crocifisso, è presente come risorto tra noi?”, quali sono le risposte fornite dalla storia raccontata da Luca? e come si colloca la Bibbia (o la futura Bibbia) in questa risposta?
Questa è stata la mia risposta - che vi riporto in forma ampliata:
Il capitolo comincia con il blocco del rito funebre. I riti funebri non servono solo ad onorare il defunto, ma anche ad iniziare l’elaborazione del lutto. Di sabato è vietato per gli ebrei elaborare il lutto (la norma viene applicata tuttora: anche la prima settimana di lutto strettissimo [“shivah”] viene interrotta all’inizio del sabato e riprende al suo termine – perché il sabato dev’essere una gioia), e per questo a Gesù era stato fatto lo stretto indispensabile nel tardo pomeriggio del venerdì in cui era morto, in modo da non profanare il sabato. 
Terminato il sabato, occorreva trattare il cadavere e riprendere l’elaborazione del lutto – ma il defunto non c’era più, e gli angeli dissero alle donne che egli, come aveva annunciato, non era più morto, ma risorto. Fine del lutto – non lo si doveva piangere, ma attendere. 
Le donne non vengono credute, anche se Pietro constata che il defunto non c’è più ed è scomparso in modo misterioso. 
La conversazione sulla strada di Emmaus inizia con i discepoli perplessi per quello che è accaduto; lo sconosciuto che si rivelerà poi Gesù riprende il discorso degli angeli: le Scritture avevano già predetto tutto, ed in esse si doveva trovare la spiegazione. 
L’esegesi dello sconosciuto convince solo in parte i discepoli – quanto basta per convincerli a continuare la conversazione offrendogli ospitalità; il salto di qualità, quello che permetterà di riconoscere in lui Gesù quando poi spezzerà il pane, si ha quando lui, cenando, dice: 
“Barukh Attah YHWH Eloheynu Melekh ha-‘Olam, ha-motzi lechem min ha-aretz” 
Benedetto sii Tu, YHWH Nostro Dio, Re dell’Universo, che fai uscire il pane dalla terra”. 
È la formula di benedizione da recitarsi prima di mangiare del pane, e gli ebrei notano che che per indicare la terra si usa la parola “eretz” anziché “adamah” (come invece nella benedizione sulle verdure, in cui si dice che l'Eterno "bore peri ha-adamah = crea i frutti della terra") perché questa “berakhah = benedizione” cita il Salmo 104:14. 
Quel Salmo è una lode non solo della Creazione, ma anche della Provvidenza divina, e tra l’altro recita: 
27 Tutti quanti sperano in te
perché tu dia loro il cibo a suo tempo. 
28 Tu lo dai loro ed essi lo raccolgono;
tu apri la mano, e sono saziati di beni. 
29 Tu nascondi la tua faccia, e sono smarriti;
tu ritiri il loro fiato e muoiono,
ritornano nella loro polvere. 
30 Tu mandi il tuo Spirito e sono creati,
e tu rinnovi la faccia della terra. 
ed anche (giusto per rifarsi al “nuovo patto” promesso da Geremia 31:31-34 – il Midrash riporta, a proposito di questo Salmo, una divertente discussione tra rav Meir e sua moglie Bruriah, che convince infine il marito che non sono i “peccatori” e gli “empi” a dover sparire, ma il peccato e l’empietà):
35 Spariscano i peccatori dalla terra
e gli empi non siano più!
Anima mia, benedici il SIGNORE.
Alleluia.
Il Salmo è uno dei più noti (non per niente Kittel lo chiamava “la perla del Salterio”), con rimandi a tutto il Tana”kh (per non parlare dell’Inno egiziano ad Aton ed alle mitologie dei popoli vicini), ed è passibile di interpretazione messianica e lettura cristologica. 
Non pensate solo ai versetti 29 e 30; confrontate infatti Salmo 104:14:
“(...) Fa uscire il pane dalla terra d’Israele.”(1)
con 1 Corinzi 11:23-24: 
“23 Poiché ho ricevuto dal Signore quello che vi ho anche trasmesso; cioè, che il Signore Gesù, nella notte in cui fu tradito, prese del pane, 
24 e dopo aver reso grazie, lo ruppe e disse: «Questo è il mio corpo che è dato per voi; fate questo in memoria di me».”  
E, ovviamente, con Luca 22:19: 
“Poi prese del pane e, dopo aver reso grazie, lo spezzò e lo diede loro dicendo: «Questo è il mio corpo che è dato per voi; fate questo in memoria di me».”
I discepoli hanno fatto queste letture in quel momento, ed hanno concluso che parlava di Gesù, e che Gesù era con loro, perché solo lui sarebbe riuscito a comunicare quest’interpretazione – e quando ha spezzato il pane, c’è stato il “déjà vu” che ha tolto ogni dubbio! (2)
Allora lui sparisce, ma è chiaro che cosa i discepoli devono fare – quel Salmo dice:
33 Canterò al SIGNORE finché avrò vita;
salmeggerò al mio Dio finché esisterò.
34 Possa la mia meditazione [“sichi”] essergli gradita!
Io esulterò nel SIGNORE.
La parola “siach”, qui tradotta con “meditazione”, è affine a “sichah = conversazione”, e si è tentato in epoca moderna di tradurre “telefono” con “sach rachoq = discorso lontano”. Quella che si propone qui non è una semplice riflessione, ma una conversazione con il Signore (YHWH/Kyrios) [orazione mentale?], che parta appunto dalle Scritture.
Le successive apparizioni, in cui si hanno sia presenza che riconoscimento (mentre nell’episodio di Emmaus l’una era incompatibile con l’altro), confermano che i discepoli avevano visto giusto – così come gli autori neotestamentari che hanno riferito quello che per gli ebrei è un gesto abituale, il benedire il pane, capendo che in quei momenti aveva invece una valenza eccezionale.

Raffaele Yona Ladu
Orgogliosamente ebre*


Nota (1): Mi spiace far notare che la Nuova Riveduta ha sbagliato a tradurre quella parte del Salmo 104:14 così: “fa uscire dalla terra il nutrimento”. Non consola affatto sapere che analoga svista si trova nella TOB, che nella versione italiana riproduce la traduzione CEI: "per trarre cibo dalla terra".

Infatti, gli ebrei usano la benedizione "ha-motzi lechem min ha-aretz" esclusivamente per il pane - per benedire un altro "nutrimento", se ne deve usare un'altra, specifica (come per il vino, la frutta, la verdura), oppure quella generica ("... bore miney ha-mezonot = crea le specie di cibi") per i cibi che non ne hanno meritato una specifica.

Le citate traduzioni rendono con un concetto generico quello che andava inteso in modo specifico.


Nota (2): Può sembrare strano che un ebreo che poco sopporta le letture tipologiche dell'AT ne abbia riscoperta una; pensavo che fosse una novità assoluta, visto che non vi accenna il commentone di Gianfranco Ravasi ai Salmi, ma ho notato qui che l'aveva già fatta Agostino d'Ippona.

Agostino si esprime però in modo diverso - citiamolo:
Del frutto delle tue opere sarà saziata la terra. Tu fai crescere il fieno per i giumenti e l'erba per il servizio degli uomini. Ma perché questo? Perché dalla terra possa trarre il pane. Quale pane? Cristo. Da quale terra? Da Pietro, da Paolo, dagli altri dispensatori della verità. Ascolta perché il pane è tratto dalla terra: Abbiamo - si dice - questo tesoro in vasi d'argilla, affinché l'eccellenza della virtù sia di Dio [2 Corinzi 4:7]. Egli è il pane che è disceso dal cielo [Cfr. Giovanni 6:41] per essere poi tratto dalla terra, quando viene predicato attraverso la persona fisica dei suoi servi. La terra produce il fieno, onde si tragga il pane dalla terra. Quale terra produce il fieno? Le popolazioni religiose e sante. E da quale terra dev'essere tratto il pane? La parola di Dio è tratta dagli Apostoli, dai dispensatori dei sacramenti di Dio, mentre ancora camminano su questa terra e portano un corpo terreno.
Sembra proprio che Agostino, pur rendendosi conto che il "pane" di cui parla il Salmo 104:14 si può applicare tipologicamente a Cristo, non si fosse reso conto che il "far uscire il pane dalla Terra" potesse applicarsi alla Risurrezione. Oppure, non lo riteneva omileticamente proficuo - lui doveva ricordare a era chi già convinto della Risurrezione che doveva la sua fede presente e futura alla comunità con cui divideva la Parola di Dio, non far balenare nei commensali di Emmaus la possibilità che Dio avesse davvero fatto risorgere Gesù, con l'apparente facilità con cui fa uscire il pane dalla Terra.

Inoltre, posso attenuare, o meglio, diluire la portata di questa lettura.

La tradizione ebraica vuole che la risurrezione dei morti avvenga esclusivamente in Terra d'Israele (la parola "eretz" generalmente, nella Bibbia, significa il globo terracqueo [e questo sembra il significato che la parola ha nel versetto 5 di questo Salmo; compare altre 6 volte, e si può volendo arguire sul significato che ha negli altri versetti] ma di solito un ebreo d'oggi, quando usa il termine, si riferisce proprio alla Terra d'Israele, e non è un uso ignoto alla Bibbia).

Chi è sepolto altrove, pur non ricevendo ancora la sua anima, ed essendo quindi ancora tecnicamente defunto, si metterà comunque a scavare una galleria tra la sua sepoltura e la Terra d'Israele - giunto lì, riavrà la sua anima, e risorgerà per davvero.

Quindi è possibile che l'uscita del pane dalla Terra d'Israele rappresenti la risurrezione finale di tutti, non solo di Gesù.

Il problema ora è capire: è stato solo Gesù a stabilire un paragone tra la propria persona ed il pane, o lo si può già trovare nella tradizione ebraica, valido per tutti gli esseri umani?

La lessicografia non è di grande aiuto, anche se è stato notato che la parola biblica "lechem = pane" ha un sinonimo, "lechem = combattimento" - l'affinità non mi porta però lontano; in arabo la parola "lachm" vuol dire "carne", ed i verbi che ne derivano significano "aderire", "saldarsi" - anche qui, trovo un vicolo cieco.