mercoledì 23 dicembre 2015

Brogliaccio zoroastriano

Un problema che devo affrontare per un esame (Metodologia del Dialogo Interreligioso) è l'influenza dello zoroastrismo sul giudaismo esilico. Mi sono infatti lamentato che il libro "Ricerca delle tracce. Le religioni universali in cammino / Hans Küng" ignora lo zoroastrismo, sebbene sia una religione tuttora praticata, ed abbia influenzato grandemente il giudaismo, ed attraverso esso cristianesimo ed islam.

Un famoso zoroastriano era il bisessuale Freddie Mercury, ma quello che ha attirato la mia attenzione è la voce "Zoroastrism" dell’Encyclopedia of Homosexuality, secondo cui il famoso versetto di Levitico 18:22:

וְאֶ֨ת־זָכָ֔ר לֹ֥א תִשְׁכַּ֖ב מִשְׁכְּבֵ֣י אִשָּׁ֑ה תֹּועֵבָ֖ה הִֽוא׃

(We-et_zakhar lo tishkav mishkeve ishshah – to'evah hi)

"E con un maschio non giacerai i giacigli di una donna – è cosa indegna [del popolo santo di Dio]”

e quello di Levitico 20:13 (non Deuteronomio, come ha scritto l'autore):

וְאִ֗ישׁ אֲשֶׁ֨ר יִשְׁכַּ֤ב אֶת־זָכָר֙ מִשְׁכְּבֵ֣י אִשָּׁ֔ה תֹּועֵבָ֥ה עָשׂ֖וּ שְׁנֵיהֶ֑ם מֹ֥ות יוּמָ֖תוּ דְּמֵיהֶ֥ם בָּֽם׃

(We-ish asher yishkav et_zakhar mishkevey ishshah to'evah 'asu shneyhem mot yumatu demeyhem bam)

"E l'uomo che giacerà con un maschio i giacigli di una donna, hanno fatto cosa indegna [del popolo santo di Dio], entrambi saranno inesorabilmente messi a morte ed il loro sangue ricadrà su di loro".

sarebbero stati ispirati da uno dell’Avesta (Vendidad 8:32), che recita:

“L’uomo che giace con un mascolino come un uomo giace con un femminino, o come una donna giace con un mascolino, è l’uomo che è un Daeva; questi è l’uomo che rende culto ai Daeva, cioè un amante maschile dei Daeva, cioè un amante femminile dei Daeva, cioè una moglie del Daeva. Questi è l’uomo che è malvagio come un Daeva, che in tutto il suo essere è un Daeva; questo è l’uomo che è un Daeva [già] prima di morire, e diventa uno dei Daeva non visti dopo la morte: così è lui, sia che abbia giaciuto con un mascolino da mascolino, o da femminino” [ovvero, “insertivo” e “ricettivo” sono egualmente rei].

Inevitabile quindi chiedersi se davvero l'omofobia presente nel "Codice di Santità" del Pentateuco, attribuito alla Fonte Sacerdotale, è ascrivibile all’influenza zoroastriana; ci sono molte discussioni sulla datazione e sulla redazione del Vendidad, e perfino sul suo valore canonico (gli zoroastriani riformisti riducono il canone ai Gathas [che fan parte dello Yasna], in quanto sono le uniche parti dell'Avesta sicuramente opera di Zarathustra), ma si ritiene normalmente che il Vendidad sia stato redatto a partire dall'8° Secolo AEV, prima quindi del Codice di Santità (5° Secolo AEV circa).

È stato inoltre notato nell'Encyclopaedia Iranica che gli sciiti duodecimani (la religione di stato iraniana) sono più omofobi dei sunniti, anche se i dotti esitano ad attribuir ciò al substrato zoroastriano, e tutto questo accresce il rimpianto per l’omissione dello zoroastrismo dalla trattazione di Hans Küng.

Lo zoroastrismo, prima che si irrigidisse in una chiesa sotto i Sassanidi (224-651), era una religione molto più tollerante delle successive religioni abramitiche - infatti il Cilindro di Ciro mostra che Ciro 2° il Grande, sovrano achemenide per cui lo zoroastrismo era già religione di stato, potè conquistare Babilonia nel 540 AEV appropriandosi del culto di Marduk e dei generi letterari della propaganda reale assira per legittimare il proprio dominio, senza che a Pasargade, la sua capitale in Persia, qualcuno avesse da ridire (a Salomone ed agli Omridi invece il Deuteronomista non gliela lasciò passare liscia); e gli zoroastriani d'oggi amano vantarsi dell'influenza che la loro fede ha avuto sulle altre religioni.

Un esempio lo troviamo nell'articolo Zoroastrianism and Judaism: The Genesis of Comparative Beliefs of two Great Faiths, che si può riassumere così: la si può rinvenire anche in altri passi della Fonte Sacerdotale (tra cui il racconto della creazione che si trova in Genesi 1), non solo nel Codice di Santità (che risente della preoccupazione dello zoroastrismo dell'epoca per la purezza rituale e la sacralità del culto), nonché nel Deuteroisaia, il quale dice di Ciro in Isaia 45:1:

כֹּה־אָמַ֣ר יְהוָה֮ לִמְשִׁיחֹו֮ לְכֹ֣ורֶשׁ אֲשֶׁר־הֶחֱזַ֣קְתִּי בִֽימִינֹ֗ו לְרַד־לְפָנָיו֙ גֹּויִ֔ם וּמָתְנֵ֥י מְלָכִ֖ים אֲפַתֵּ֑חַ לִפְתֹּ֤חַ לְפָנָיו֙ דְּלָתַ֔יִם וּשְׁעָרִ֖ים לֹ֥א יִסָּגֵֽרוּ׃

(Koh_amar YHWH li-mshicho le-Khoresh asher_hechezaqti bi-yimino le-rad_lefanaw goyim u-matney melakhim afatteach lefatteach lefanav delatayim u-shearim lo yissageru)

"Così disse YHWH al suo Messia, a Ciro che afferrai per la sua destra perché scendessero davanti a lui le nazioni, e aprirò i lombi dei re per aprire davanti a lui i due battenti, e le porte non si chiuderanno".

Ciro viene qui chiamato "il Messia", l'"unto di YHWH", e non solo tanta ammirazione può aver veicolato l'imitazione, ma la sua descrizione ricorda un brano del Cilindro di Ciro:

"Egli (Marduk) scrutò tutte le contrade, cercando un giusto regnante ... pronunciò il nome di Ciro, re di Anshan ... per farne il sovrano del mondo intero. Il grande signore Marduk, protettore del suo popolo, vide con piacere le sue buone opere (quelle di Ciro) e gli ordinò di marciar contro la città di Babilonia".

e la descrizione che il Deuteroisaia fa di YHWH ricorda quella che i Gathas di Zarathustra fanno di Ahura Mazda, la divinità zoroastriana del bene - confrontiamo Isaia 45:7:

יֹוצֵ֥ר אֹור֙ וּבֹורֵ֣א חֹ֔שֶׁךְ עֹשֶׂ֥ה שָׁלֹ֖ום וּבֹ֣ורֵא רָ֑ע אֲנִ֥י יְהוָ֖ה עֹשֶׂ֥ה כָל־אֵֽלֶּה׃ ס

(Yotzer or u-vore choshekh 'oseh shalom u-vore ra', ani YHWH 'ose kol_elleh. Sela)

"Formo la luce e creo la tenebra, faccio la salute e creo il male, io, YHWH faccio tutto questo. Pausa".

con Yasna 44:5:

"Questo ti chiedo. Dimmi davvero qual artefice ha creato i corpi luminosi e gli spazi oscuri? Quale artefice ha creato sia il sonno che l'azione? ..."

Ma è soprattutto la tensione escatologica ed apocalittica che il giudaismo esilico sembra aver attinto dallo Zoroastrismo: per quest'ultimo, se l'epoca presente è sotto il dominio di Angra Mainyu, il principio del male, alla fine dei tempi egli sarà sconfitto, per inaugurare un tempo di "Frasho Kereti = eterna beatitudine".

L'influenza tra le due religioni è stata notevole; Hans Küng delle religioni che ha trattato ha descritto i mutamenti di "paradigma" (nel senso di Thomas S. Kuhn, ovvero di fratture nell'evoluzione di una religione), ed il contributo che possono dare all'etica mondiale ("Weltethos") che lui intende costituire.

Secondo me, i paradigmi dello zoroastrismo sono questi:
  1. Era pre-achemenide (1700? AEV – 648 AEV)
  2. Religione di stato persiana - dagli achemenidi agli arsacidi (648 AEV – 241)
  3. Religione di stato persiana - periodo sassanide (242 - 651)
  4. Religione di minoranza sotto l’islam (651 – 800)
  5. Transizione al pahlavico e migrazione di molti in India (800 – 1800)
  6. Innovazioni dottrinali e divisione in tre gruppi (1800 – oggi)
Nello schema compilato per l'esame, avevo conglobato i paradigmi 2 e 3, non essendomi reso conto che la tolleranza che lo zoroastrismo aveva manifestato al tempo di Ciro (e che aveva portato sotto i parti al proliferare di sette spesso sincretiche ed idolatriche) sarabbe stata sostituita dai sassanidi da un'intolleranza portata avanti da una gerarchia ecclesiastica centralizzata, intolleranza sia verso gli zoroastriani dissidenti (come i Zurvani, che ritenevano che Zurvan, il Tempo, fosse il genitore dei due "gemelli" Ahura Mazda ed Angra Mainyu - in questo modo riconducevano il dualismo zoroastriano ad un monoteismo), che contro le altre religioni.

Ne fecero le spese i manichei, i cristiani, e gli ebrei, che ricordano tale intolleranza in un modo curioso: il rito ashkenazita prevede che lo Shema' Yisrael si reciti due volte la mattina, non una sola come prescrive la Bibbia (Deuteronomio 6:7).

La spiegazione che ne danno i libri di preghiera è questa: l'intolleranza dei sassanidi era tale che gli ebrei non potevano sempre permettersi di recarsi in sinagoga a recitare questa preghiera, per cui decisero di sdoppiarne la recitazione - una volta la mattina presto a casa (privatamente), un'altra volta in sinagoga (collettivamente), se la situazione lo consentiva.

Il sopraggiungere dell'intolleranza significa per me un cambio di paradigma; l'innovazione dottrinale principale del 19° Secolo (paradigma #6) viene, curiosamente, da un non zoroastriano, l'orientalista tedesco Martin Haug (1827-1876), che studiò i parsi (gli zoroastriani migrati in India, e precisamente nel Gujarat), e suppose che il dualismo tra Ahura Mazda ed Angra Mainyu non fosse originario - ovvero che Angra Mainyu fosse una creatura di Ahura Mazda.

La concezione viene ritenuta ebraica e cristiana (il Satana che si accanisce su Giobbe ed il Principe di Questo Mondo di cui parla il Vangelo secondo Giovanni sono comunque creature divine), più che zoroastriana (ad onta dei Gathas prima citati, in cui Ahura Mazda rivendica l'aver creato ogni cosa), ma fu accolta dai parsi, che ora la ritengono parte della loro dottrina, che adesso può considerarsi una forma di monoteismo.

Allo schema dei paradigmi va affiancato quello dei valori che possono entrare a far parte dell'etica mondiale preconizzata da Hans Küng:
  1. Rettitudine (“Buoni pensieri, buone parole, buone azioni”)
  2. Veracità (la menzogna viene severamente riprovata)
  3. Iniziativa e generosità (la salvezza qui viene dalle opere)
  4. Responsabilità verso se stessi e gli altri (come sopra)
  5. Eguaglianza tra tutte le persone, indipendentemente dal genere, dalla razza, dal colore (solo la rettitudine crea gerarchia)
  6. Tutela dell’ambiente (forse è la prima religione al mondo ad esigerla)
  7. Ricerca di una legge naturale (“Asha” in avestico)
  8. Attenzione all’igiene (l’attenzione alla purezza adattata ai tempi)
Può sembrare strano che uno debba attingere codesti valori proprio dalla religione zoroastriana, ma Hans Küng non li ha attinti da nessun'altra delle religioni che ha citato (religioni tribali, religione cinese, induismo, buddhismo, ebraismo, cristianesimo, islam).

Ed è curioso che in nessuna di queste religioni abbia rinvenuto l'eguaglianza dei generi.

Raffaele Yona Ladu, ebreo

giovedì 17 dicembre 2015

Traduzioni di Matteo 1:25

Il 16/12/2015 ho preso 30/30 in Greco 1 ed Ebraico 1; dopo l’esame di Greco e prima di quello di Ebraico, un altro studente alla Facoltà Valdese mi ha chiesto di verificare Matteo 1.25, in quanto la Nuova Riveduta (valdese) così traduce (vedete qui):
e non ebbe con lei rapporti coniugali finché ella non ebbe partorito un figlio; e gli pose nome Gesù.
E la CEI (cattolica) traduce cosà (copio la versione della TOB):
senza che egli la conoscesse, ella diede alla luce un figlio ed egli lo chiamò Gesù.
La verifica del testo greco l’ho fatta sul Nestle Aland 28, che così riporta il versetto:
καὶ οὐκ ἐγίνωσκεν αὐτὴν ἕως οὗ ἔτεκεν υἱόν· καὶ ἐκάλεσεν τὸ ὄνομα αὐτοῦ Ἰησοῦν.
Chi non conosce il greco antico quasi sempre ha un amico che ha frequentato il liceo classico (le differenze tra il greco classico e quello dell'NT sono in questo caso di scarso rilievo), e può confermare che la traduzione più fedele è quella della Nuova Riveduta.

Rammento che già in greco classico capita di trovare il verbo "gi[g]nòsko = io conosco" nel senso di "ho rapporti sessuali con ...", e nella Bibbia viene usato per tradurre il verbo ebraico "yada' = egli conobbe", che spesso e volentieri in quella lingua indica il conoscere nel modo più appassionante.

I valdesi approfittano di questo versetto per la loro apologetica, io invece ho ambizioni ecumeniche; perciò mi limito ad osservare che a chi ci ha tramandato Matteo 1:25 interessava soltanto dimostrare che Gesù non lo aveva generato Giuseppe, non descrivere la vita coniugale di Giuseppe e Maria, di cui forse sapeva meno di quello che vorremmo.

Non amo le traduzioni infedeli, e sarebbe stato secondo me ben più opportuno per la CEI tradurre fedelmente e scrivere in nota quello che ho detto, od altre considerazioni teologiche pertinenti - così facendo si è messa invece in una posizione indifendibile.

La TOB, che nella versione italiana segue il testo CEI, dice in nota:
(...) Nel linguaggio biblico il verbo conoscere può indicare le relazioni sessuali (Gn 4,1.17; cf Lc 1,34, nota j). Mt intende sottolineare che Maria era vergine alla nascita di Gesù. Si può pensare al modo con cui Dio nell'AT proteggeva la gravidanza di Sara e di Rebecca fino alla nascita di Isacco e di Giacobbe, i padri del popolo eletto (Gn 20; 26). Il testo non permette di affermare che Maria abbia avuto in seguito rapporti con Giuseppe.
Se si è sicuri delle proprie buone ragioni, perché non tradurre fedelmente? Lo aveva già fatto Girolamo scrivendo (secondo quest'edizione della Vulgata Pio-Clementina):
Et non cognoscebat eam donec peperit filium suum primogenitum : et vocavit nomen ejus Jesum.
Poiché le parole "suum primogenitum" non erano confermate dal testo greco, la Nova Vulgata ha così corretto:
et non cognoscebat eam, donec peperit filium, et vocavit nomen eius Iesum 
Non è facile imparare lingue come l'ebraico ed il greco, ma sono lo stretto indispensabile per non essere alla mercé dei traduttori.

La precauzione è particolarmente importante per chi è italiano - la chiesa cattolica USA si è ben guardata da questa sciocchezza e nella sua ultima traduzione della Bibbia ha scritto:
He had no relations with her until she bore a son,* and he named him Jesus.
La nota a cui rimanda l'asterisco traccia un parallelo con Luca 1:27 e dice:
* [1:25] Until she bore a son: the evangelist is concerned to emphasize that Joseph was not responsible for the conception of Jesus. The Greek word translated “until” does not imply normal marital conduct after Jesus’ birth, nor does it exclude it.
Non sarebbe il caso che i vescovi cattolici italiani imitassero i loro colleghi d'oltreoceano?

Raffaele Yona Ladu


giovedì 26 novembre 2015

Guarigioni operate di sabato da Gesù

L'ebraismo è un'ortoprassi (ovvero è più un retto comportamento che una retta dottrina), e perciò, ogni volta che si va ad esaminare i rapporti tra Gesù e gli ebrei suoi contemporanei (come ad esempio i farisei), si studia come Gesù obbediva ai precetti della religione ebraica.

I Vangeli tramandano una disputa sul lavarsi le mani prima di mangiare, e Gesù risponde correttamente ai farisei che quella a cui tengono tanto è una norma rabbinica, non biblica; aggiungo che, se non ci fossero i Vangeli, di quell'obbligo si parlerebbe per la prima volta nella Gemarah, la parte più tarda del Talmud, che si cominciò a redigere nel 350 EV.

La disputa tra Gesù ed i farisei su quest'argomento è perciò intervenuta ben prima che la norma diventasse vincolante per tutti gli ebrei (ortodossi) - Gesù poteva dissentire senza che lo si considerasse meno ebreo dei suoi avversari.

Più serio caso è l'osservanza del Sabato, che pone spesso Gesù in conflitto con i farisei del suo tempo; la precisazione non è oziosa perché penso proprio che gli ebrei ortodossi di oggi (che discendono idealmente quasi tutti dai farisei - le uniche eccezioni che conosco sono i caraiti ed i Beta Israel) darebbero ragione a Gesù e non ai suoi avversari quando Gesù guariva di Sabato.

Innanzitutto, sul piano del metodo, l'articolo [1] fa notare che le obiezioni di Gesù provengono dal dibattito rabbinico del suo tempo (di cui anzi sono tra le prime attestazioni), quindi Gesù resta dentro l'ebraismo anziché uscirne.

Sul piano del merito, esaminiamo i casi che sono riuscito a rintracciare (tutte le versioni sono della Nuova Riveduta):

Luca 14:1-6:

1 Gesù entrò di sabato in casa di uno dei principali farisei per prendere cibo, ed essi lo stavano osservando, 2 quando si presentò davanti a lui un idropico. 3 Gesù prese a dire ai dottori della legge e ai farisei: «È lecito o no fare guarigioni in giorno di sabato?» Ma essi tacquero. 4 Allora egli lo prese per mano, lo guarì e lo congedò. 5 Poi disse loro: «Chi di voi, se gli cade nel pozzo un figlio o un bue, non lo tira subito fuori in giorno di sabato?» 6 Ed essi non potevano risponder nulla in contrario.

Marco 3:1-6 [vedi anche Matteo 12:9-13 e Luca 6:6-11]:

1 Poi entrò di nuovo nella sinagoga; là stava un uomo che aveva la mano paralizzata. 2 E l'osservavano per vedere se lo avrebbe guarito in giorno di sabato, per poterlo accusare. 3 Egli disse all'uomo che aveva la mano paralizzata: «Àlzati là nel mezzo!» 4 Poi domandò loro: «È permesso, in un giorno di sabato, fare del bene o fare del male? Salvare una persona o ucciderla?» Ma quelli tacevano. 5 Allora Gesù, guardatili tutt'intorno con indignazione, rattristato per la durezza del loro cuore, disse all'uomo: «Stendi la mano!» Egli la stese, e la sua mano tornò sana. 6 I farisei, usciti, tennero subito consiglio con gli erodiani contro di lui, per farlo morire.

Giovanni 5:1-16 [vedi anche qui per un commento al brano]:

1 Dopo queste cose ci fu una festa dei Giudei e Gesù salì a Gerusalemme.
2 Or a Gerusalemme, presso la porta delle Pecore, c'è una vasca, chiamata in ebraico Betesda, che ha cinque portici. 3 Sotto questi portici giaceva un gran numero d'infermi, di ciechi, di zoppi, di paralitici[, i quali aspettavano l'agitarsi dell'acqua; 4 perché un angelo scendeva nella vasca e metteva l'acqua in movimento; e il primo che vi scendeva dopo che l'acqua era stata agitata era guarito di qualunque malattia fosse colpito].
5 Là c'era un uomo che da trentotto anni era infermo. 6 Gesù, vedutolo che giaceva e sapendo che già da lungo tempo stava così, gli disse: «Vuoi guarire?» 7 L'infermo gli rispose: «Signore, io non ho nessuno che, quando l'acqua è mossa, mi metta nella vasca, e mentre ci vengo io, un altro vi scende prima di me». 8 Gesù gli disse: «Àlzati, prendi il tuo lettuccio e cammina». 9 In quell'istante quell'uomo fu guarito; e, preso il suo lettuccio, si mise a camminare.
10 Quel giorno era un sabato; perciò i Giudei dissero all'uomo guarito: «È sabato, e non ti è permesso portare il tuo lettuccio». 11 Ma egli rispose loro: «Colui che mi ha guarito mi ha detto: "Prendi il tuo lettuccio e cammina"». 12 Essi gli domandarono: «Chi è l'uomo che ti ha detto: "Prendi il tuo lettuccio e cammina?"» 13 Ma colui che era stato guarito non sapeva chi fosse; Gesù infatti si era allontanato, perché in quel luogo c'era molta gente. 14 Più tardi Gesù lo trovò nel tempio, e gli disse: «Ecco, tu sei guarito; non peccare più, ché non ti accada di peggio». 15 L'uomo se ne andò, e disse ai Giudei che colui che l'aveva guarito era Gesù. 16 Per questo i Giudei perseguitavano Gesù e cercavano di ucciderlo; perché faceva quelle cose di sabato.

Luca 13:10-17:

10 Gesù stava insegnando di sabato in una sinagoga. 11 Ecco una donna, che da diciotto anni aveva uno spirito che la rendeva inferma, ed era tutta curva e assolutamente incapace di raddrizzarsi. 12 Gesù, vedutala, la chiamò a sé e le disse: «Donna, tu sei liberata dalla tua infermità». 13 Pose le mani su di lei, e nello stesso momento ella fu raddrizzata e glorificava Dio. 14 Or il capo della sinagoga, indignato che Gesù avesse fatto una guarigione di sabato, disse alla folla: «Ci sono sei giorni nei quali si deve lavorare; venite dunque in quelli a farvi guarire, e non in giorno di sabato». 15 Ma il Signore gli rispose: «Ipocriti, ciascuno di voi non scioglie, di sabato, il suo bue o il suo asino dalla mangiatoia per condurlo a bere? 16 E questa, che è figlia di Abraamo, e che Satana aveva tenuto legata per ben diciotto anni, non doveva essere sciolta da questo legame in giorno di sabato?» 17 Mentre diceva queste cose, tutti i suoi avversari si vergognavano, e la moltitudine si rallegrava di tutte le opere gloriose da lui compiute.

Marco 1:29-31 [il contesto fa capire che era di Sabato - vedi anche Matteo 8:14-15 e Luca 4:38-39]:
29 Appena usciti dalla sinagoga, andarono con Giacomo e Giovanni in casa di Simone e di Andrea. 30 La suocera di Simone era a letto con la febbre; ed essi subito gliene parlarono; 31 egli, avvicinatosi, la prese per la mano e la fece alzare; la febbre la lasciò ed ella si mise a servirli.
Sulla base di [2] mi permetto di dire che:

- l'idropisia, di cui si parla in Luca 14:1-6, è una grave forma di edema, che per i medici di oggi indica una grave malattia del cuore, del fegato, o dei reni. Il malato si sta avviando verso la morte, e chi può salvarlo lo deve fare in ogni giorno dell'anno;

- se la mano di cui parlano i Sinottici era ἐξηραμμένην (exeramménen), cioè "inaridita", penso che la malattia che l'aveva colpita, progredendo, avrebbe portato alla perdita completa della funzione o dell'arto - un ottimo motivo per intervenire anche di Sabato;

- in tutti gli altri casi il paziente non era in grado di vivere una vita normale, tant'è vero che in due di essi si era dovuto mettere a letto per la paralisi o la febbre - anche questo è un buon motivo per intervenire di Sabato.

Quando non c'è di mezzo il pericolo di morte, ma il paziente è abbastanza ammalato da meritare un intervento, sarebbe opportuno apportare uno "shinui = cambiamento" nella normale procedura, per eliminare così completamente la  trasgressione del Sabato.

Non ci vuole molto - un esempio moderno che si fa è che uno chiama la guardia medica premendo i tasti del telefono con le nocche delle dita, anziché con i polpastrelli; oppure entra in macchina dalla parte del passeggero anziché del guidatore.

Questo, ovviamente, se si è SICURI di aver tempo da perdere e di non fare comunque danno al paziente - se si ha il sospetto invece che tempo da perdere non ce ne sia, si ricade nel caso del pericolo di morte, e trasgredire il Sabato nel modo più efficace possibile diventa un dovere, non una facoltà.

Non ho cercato di capire quale fosse il modo di procedere abituale di Gesù quando guariva i malati (ed i Sinottici raccontano la guarigione della suocera di Pietro descrivendo la procedura in modi diversi - temo dunque che sia impossibile stabilirlo), e se quindi di Sabato adottasse un modo speciale - credo però che sia un dettaglio.

Gli ebrei trascurano di Sabato solo le banalità di cui si è sicuri che non abbiano conseguenze, e cercano di evitare di aver bisogno di medicine od interventi chirurgici in quel giorno, e di trovarsi quel giorno in convalescenza. Ma se non si riesce ad evitarlo, pazienza.

Come disse rav Shim'on figlio di Menasya [3]. "Nota quello che è scritto: 'Osserverete dunque il Sabato perché è un giorno santo per voi' [Esodo 31:14]. È a voi che viene dato il Sabato, non voi al Sabato". Non è un argomento dissimile da quello di Gesù: "Il sabato è stato fatto per l'uomo e non l'uomo per il sabato" [Marco 2:27].

Raffaele Yona Ladu, ebreo



Bibliografia

[1] Why doctors can heal on Shabbat

[2] 17. Tochen - Part 2: Healing on Shabbat.html

[3] Il vangelo ebraico : Le vere origini del cristianesimo / Daniel Boyarin (purtroppo il traduttore italiano non aveva mai letto una Bibbia in vita sua, e non si è reso conto che la parola inglese "you" andava qui intesa come "voi" anziché "tu").

martedì 3 novembre 2015

La piscina di Betseda e Giovanni 5:1-15

Leggiamo Giovanni 5:1-15 nel testo della Nuova Riveduta (per altre traduzioni cliccate qui):
1 Dopo queste cose ci fu una festa dei Giudei e Gesù salì a Gerusalemme. 
2 Or a Gerusalemme, presso la porta delle Pecore, c'è una vasca, chiamata in ebraico Betesda, che ha cinque portici. 
3 Sotto questi portici giaceva un gran numero d'infermi, di ciechi, di zoppi, di paralitici[, i quali aspettavano l'agitarsi dell'acqua; 
4 perché un angelo scendeva nella vasca e metteva l'acqua in movimento; e il primo che vi scendeva dopo che l'acqua era stata agitata era guarito di qualunque malattia fosse colpito]. 
5 Là c'era un uomo che da trentotto anni era infermo. 
6 Gesù, vedutolo che giaceva e sapendo che già da lungo tempo stava così, gli disse: «Vuoi guarire?» 
7 L'infermo gli rispose: «Signore, io non ho nessuno che, quando l'acqua è mossa, mi metta nella vasca, e mentre ci vengo io, un altro vi scende prima di me». 
8 Gesù gli disse: «Àlzati, prendi il tuo lettuccio e cammina». 
9 In quell'istante quell'uomo fu guarito; e, preso il suo lettuccio, si mise a camminare. 
10 Quel giorno era un sabato; perciò i Giudei dissero all'uomo guarito: «È sabato, e non ti è permesso portare il tuo lettuccio». 
11 Ma egli rispose loro: «Colui che mi ha guarito mi ha detto: "Prendi il tuo lettuccio e cammina"». 
12 Essi gli domandarono: «Chi è l'uomo che ti ha detto: "Prendi il tuo lettuccio e cammina?"» 
13 Ma colui che era stato guarito non sapeva chi fosse; Gesù infatti si era allontanato, perché in quel luogo c'era molta gente. 
14 Più tardi Gesù lo trovò nel tempio, e gli disse: «Ecco, tu sei guarito; non peccare più, ché non ti accada di peggio». 
15 L'uomo se ne andò, e disse ai Giudei che colui che l'aveva guarito era Gesù.
Il brano contiene un’incongruenza. Di sabato infatti non è vietato ad un ebreo prendere in mano oggetti (se così fosse, non riuscirebbe nemmeno a mangiare di sabato); è vietato farli entrare od uscire da un edificio od un’area recintata. Ed è inoltre vietato trasportare un oggetto all'interno di un'area pubblica per più di 4 cubiti (1,7 metri).

Se voi andate in sinagoga di sabato (cioè tra il tramonto del venerdì e quello del sabato), voi vedete che i fedeli entrano a mani vuote, prendono il libro di preghiera da uno scaffale dentro la sinagoga, lo portano al loro banco, e dopo la preghiera lo ripongono nello scaffale.

Tutto questo non è violazione del sabato – la violazione ci sarebbe se per sbadataggine un fedele portasse il libro fuori (e raddoppierebbe se il fedele percorresse più di 4 cubiti prima di accorgersene).

Perciò, Gesù non ha istigato il paralitico guarito a violare il sabato dicendogli: “Alzati, prendi il tuo lettuccio e cammina”.

Secondo me le cose sono andate così: l’unico modo lecito per obbedire a Gesù in quel momento era continuare a fare il giro della piscina fino alla fine del sabato, magari proclamando: “Ero paralitico da trentott’anni e sono stato guarito!”

Ma l’ex-paralitico non lo ha capito, ed ha pensato invece a tornare a casa.

Ma quando si è avvicinato all’uscita, ha trovato i farisei che gli hanno detto che non poteva portare il lettuccio - notare che i farisei, anche nel testo greco, non hanno precisato "portare fuori".

Penso che i farisei avessero notato e volessero comunicare all'ex-paralitico che lui stava per violare il sabato due volte: la prima facendo uscire il lettuccio dall'edificio, la seconda portandolo per più di 4 cubiti all'esterno della piscina.

Lui però non se la sentiva di abbandonare quello che era probabilmente il suo unico avere, e per giustificarsi ha tirato in ballo chi lo aveva guarito.

I farisei avrebbero dovuto rendersi conto, già dalle parole dell’ex-paralitico, che non gli era stato detto niente di sbagliato, ma non ci sono arrivati. E nemmeno l'evangelista.

Uno si fa una domanda teologica: la paralisi dell’uomo era conseguenza del peccato, oppure il peccato a cui allude Gesù è stato commesso dopo la guarigione di lui?

Per esempio, scaricando una sua colpa su Gesù?

Raffaele Yona Ladu

lunedì 28 settembre 2015

Provvisorio commento al Libro di Giona
















Essendomi stato chiesto da un'allieva della Facoltà Valdese di Teologia di parlare del Libro di Giona [0], provo a dirne provvisoriamente qualcosa.

L’islam non è una religione indipendente da ebraismo e cristianesimo, ed anzi spesso è prezioso perché esso ha accolto tradizioni che ebrei e cristiani hanno rifiutato – quindi val sempre la pena indagare su come il Corano e la Sunna rendono una storia biblica, ed è interessante perciò il sito [1].

Nella versione che riporta del racconto, Yunus = Yonah = Giona è reso quasi superfluo: infatti egli abbandona la missione dopo aver vanamente tentato di convertire gli abitanti di Ninive, ma Dio rimedierà atterrendo gli abitanti con un prodigio - il cielo che diventa innaturalmente rosso, annunciando una tempesta mai vista. Quando Giona tornerà a Ninive dopo peripezie simili a quelle bibliche, gli rimarrà solo da ammaestrare gli abitanti al culto dell’unico Dio.

Negli ahadith, Giona è meritevole di stima per il modo in cui ha pregato dentro il pesce che lo aveva ingerito, quando la situazione era disperata, venendo così miracolosamente salvato, non per il primo vano tentativo di convertire i niniviti.

Invece, nella versione ebraico-cristiana, Giona è indispensabile per questa missione – nessun altro la può fare. Non è chiaro il perché, ma posso pensare che Giona fosse un predicatore/darshan eccezionale, capace di portare Dio in mezzo a coloro che lo ascoltavano.

Gli abitanti di Ninive non potevano essere convinti da un prodigio, ma potevano credere alla testimonianza di un altro essere umano.

In Matteo 16:1-4 [2] Gesù allude al medesimo prodigio di cui parleranno gli ahadith citati in [1] (il cielo che diventa rosso), ma avverte anche che il medesimo segno non è univoco, ed a seconda del momento può essere benigno (annunciare il sereno) o maligno (annunciare una tempesta).

Leggete qui (Versione Nuova Riveduta):
1 I farisei e i sadducei si avvicinarono a lui per metterlo alla prova e gli chiesero di mostrare loro un segno dal cielo.
2 Ma egli rispose: «Quando si fa sera, voi dite: "Bel tempo, perché il cielo rosseggia!"
3 e la mattina dite: "Oggi tempesta, perché il cielo rosseggia cupo!" L'aspetto del cielo lo sapete dunque discernere, e i segni dei tempi non riuscite a discernerli?
4 Questa generazione malvagia e adultera chiede un segno, e segno non le sarà dato se non quello di Giona». E, lasciatili, se ne andò.
Credo che l'affinità tra il brano evangelico di [2] e gli ahadith di [1] testimoni che (come spesso accade, ricordava Shlomo Dov Goitein) quegli ahadith riprendano dei midrashim ebraici poi dimenticati (o respinti, precisa Pawel Gajewski), e che questi fossero già diffusi all'epoca di Gesù.

Gesù sembra sfidare i suoi avversari lasciando intendere che non devono credere che le cose accadranno come in quei midrashim, ovvero che, se non credono al profeta inviato loro, Dio Benedetto comunque darà loro un'altra chance inviando un prodigio che li costringerà a ricredersi.

Cosa più importante, un segno celeste non può provare nulla (concorderanno qualche secolo dopo i medesimi farisei che lo chiesero a Gesù, in bBava Metzi'a 59b [3] - e forse per questo quei midrashim sono stati abbandonati dagli ebrei e solo i mussulmani li hanno tramandati sotto forma di ahadith: erano ormai diventati incompatibili con la nuova “teologia” ebraica) perché può essere comunque interpretato in molti modi. La fede in Dio è innanzitutto la fiducia in chi lo annuncia - e per questo Gesù, il segno richiesto, non lo dà.

Tutto questo conferma che per convincere occorre argomentare, non semplicemente mostrare, e questo Giona lo sapeva bene, visto che i midrashim, questa volta tramandati dagli ebrei e riassunti in [4], dicono che egli aveva già avuto grande successo, convertendo gli abitanti di Gerusalemme - ed a leggere le lamentele non solo dei Vangeli, ma anche dei Profeti, doveva essere stato il capolavoro della sua vita!

Ma la gratitudine non è la specialità di nessuno, ed i gerosolimitani, anziché ringraziarlo per aver salvato loro la vita, sparlarono di lui dicendo che aveva “toppato” e non lo si poteva perciò considerare un vero profeta.

Per questo (i midrashim cercano sempre di scagionare i personaggi biblici - ed anche gli ahadith citati mostrano un Giona che la sua missione aveva provato ad adempierla, ed aveva solo ceduto allo sconforto), non aveva voluto andare a Ninive – temeva di lavorare solo per guadagnarsi un’altra volta l’ingratitudine di coloro che salvava.

Secondo lo Zohar, quando Giona arrivò a Joppe/Giaffa per imbarcarsi e continuare la sua fuga, non trovò alcuna nave in porto – da due giorni erano salpate tutte. Ma l’Eterno mandò un vento contrario che ne riportò una (e solo quella! Le altre continuarono la loro rotta) in porto, per permettere a Giona di salirvi a bordo.

Giona non era uno stupido, ed il prodigio era evidente – ma deve aver creduto che Dio avesse voluto informarlo di aver rinunciato ad affidargli quella missione, e per quello gli metteva a disposizione la nave per andarsene lontano dalla Sua Presenza. Come ho scritto prima, i prodigi sono spesso ambigui, ed anche un profeta del valore di Giona può fraintenderli.

Giona era tanto persuaso della sua interpretazione da permettersi il lusso non solo di pagare tutto il viaggio in anticipo (cosa contraria all'uso dell'epoca, secondo i midrashim citati), ma anche di dormire profondamente in mezzo alla tempesta, convinto di non correre alcun pericolo.

Sia in Levitico 16:7-8 [5] che nel Libro di Giona si tirano le sorti per decidere che capro o che persona sacrificare – e questo stabilisce un legame tra i due libri. Ma ben diverso è il comportamento delle persone.

Che io sappia, nessun Sommo Sacerdote si è mai vergognato di dovere la salvezza del suo popolo all'aver abbandonato ad Azazel un capro scelto a sorte, ma i marinai della nave fanno invece una cosa semplicemente pazzesca in Giona 1:13.

Ho fatto da giovane un corso di vela, e mi è stato spiegato che, se ci si trova in mezzo ad una tempesta, ci si deve “mettere alla cappa” – ovvero rimanere in acque profonde, mettere la prua controvento (è la posizione in cui lo scafo è meno sollecitato dal vento e dalle onde), regolare le vele od i motori in modo da frenare la nave, ed aspettare che la tempesta passi, sperando che lo scafo nel frattempo regga.

Cercare di accostare ha senso solo se si può entrare in un porto sicuro, con acque profonde all’ingresso e calme all’interno. Altrimenti avvicinarsi alla riva significa solo che, non appena si arriva dove il fondale è meno profondo delle onde, la nave viene o schiacciata contro il fondale, o scagliata contro la costa. Si perdono scafo, carico e vite umane. Complimenti al nocchiero!

O l’autore del libro biblico non capiva niente di nautica (e la cosa è possibile – la Bibbia non è un libro di scienza e, al contrario degli israeliani di oggi, gli israeliti di allora temevano il mare), oppure ha voluto descrivere dei marinai così riluttanti al dovere la vita al sacrificare una persona estratta a sorte, da preferire il morire tutti loro invece.

Si va oltre Abramo che intercede per Sodoma e Gomorra in Genesi 18 [6], badando bene però a non rimanere lui invece vittima dell'ira divina; si arriva al livello di Mosé, che in Esodo 32 [7] dice a Dio che preferisce morire piuttosto che sopravvivere al popolo d’Israele che aveva peccato!

In Esodo 32:26-27 Mosè mobilita i leviti per sterminare gli ebrei peccatori; i marinai invece non vogliono assolutamente fare questo - la rigida esclusiva difesa dell'identità ebraica diventa un'inclusività che cerca di salvare pure chi Dio ha (solo) apparentemente condannato a morte.

La solidarietà collettiva, valore ebraico fondamentale, non si esprime qui estirpando chi può attirare sulla comunità l'ira divina, ma cercando ad ogni costo di salvargli almeno la vita.

Non si creda che l'innovazione sia solo nei Profeti: in Deuteronomio 22:8 [8], brano che il calendario ebraico fa leggere nell'imminenza dello Yom Kippur, si prescrive di costruire un parapetto intorno ad una terrazza, perché la casa non sia responsabile del sangue di chi cade da lì.

L'interpretazione ebraica comune è che, se Dio vuol far cadere qualcuno, non c'è modo di impedirglielo, ma guai ad essere il suo strumento in questo! Bisogna sempre proteggere una vita umana - non tocca ad un essere umano chiedersi che cosa Dio vuole farne. Era stato l'errore di Giona questo, ma i marinai se ne guardano bene.

Uno dei midrashim citati in [4] dice che, dopo aver visto che Giona si era salvato, i marinai che lo avevano gettato in mare si convertirono all'ebraismo - direi che loro si erano già comportati in maniera sublimemente ebraica, e che questa conversione era solo un pro forma.

E loro poterono poi convertirsi, a dar retta al midrash, perché l’Eterno non voleva vittime inutili, ma che Giona fosse ingoiato dal pesce – perciò questa pazza manovra non riesce, la nave resta in mare aperto, e Giona viene gettato in mare.

Di quel pesce i Pirqei de-rav Eli'ezer e lo Zohar, citati in [4], dicono che era tra le cose create all'inizio dei tempi; l'elenco classico di queste cose, che si trova in Bereshit Rabba 1:4 [9], è questo:
  1. la Torah;
  2. il Trono di Dio;
  3. i Patriarchi (concepiti nel pensiero, non ancora effettivamente generati);
  4. il popolo d'Israele (anche qui, concepito nel pensiero, non ancora effettivamente costituito);
  5. il Tempio (anche qui, solo nel pensiero);
  6. il nome del Messia;
  7. il pentimento (teshuvah), secondo l'isolato ma autorevole parere di rav Ahava Brei D'rav Zera.
Sono tutte cose senza le quali l'ebraismo era (ed è) inconcepibile dai rabbini; aggiungere il pesce che avrebbe ingoiato Giona significava renderlo uno dei fondamenti dell'ebraismo.

Viene il sospetto che lo scopo di tutta la missione non fosse convertire i niniviti, ma Giona; e che per riuscirci fosse necessario proprio quel pesce.

Di tutte le cose che [4] dice di lui, due mi hanno particolarmente colpito: la prima è che Giona poteva vedere quello che c'era intorno al pesce (o attraverso gli occhi del pesce, o grazie ad una perla prodigiosa che quel pesce conteneva), la seconda è che Giona fu condotto dal pesce a vedere le meraviglie dell'oceano, tra cui il tratto del Mar Rosso che gli ebrei attraversarono uscendo dall'Egitto, ed i pilastri della terra.

Di codesti pilastri le Massime dei Padri, Capitolo 1 [10], danno due definizioni alternative:
[1:2] Simeone il Giusto era tra gli ultimi superstiti della Grande Assemblea. Diceva: "Il mondo si regge su tre cose: la Torah, il culto, e le opere di bene". 
[1:18] Rav Simeone figlio di Gamaliele diceva: "Su tre cose si regge il mondo: la giustizia, la verità e la pace. (...)"
È solo perché entrambi i rabbini insistono che i pilastri della terra sono solo tre che non possiamo dare ragione ad entrambi - e sembra anche il rammarico del compilatore della Mishnah; quello che si può dire è che, se la prima definizione è precoce e particolaristica, ovvero si addice soprattutto agli ebrei, la seconda è tardiva ed universalistica, ovvero vale per tutti.

In teoria, non ci sarebbe bisogno di un pesce prodigioso per vedere quei pilastri, ma quel pesce non ha portato Giona in "visita guidata" ai luoghi focali (tra cui quello in cui gli ebrei attraversarono il Mar Rosso) della storia e dell'identità ebraica solo per aumentare la sua cultura generale - il viaggio subacqueo doveva edificare Giona facendogli capire che la sua missione a Ninive continuava e compiva il lavoro iniziato da Mosé con la costituzione del popolo ebraico, facendo di questo popolo uno strumento di redenzione delle nazioni.

Come spiegò rav Elia Benamozegh (1824-1900) in [11], il popolo ebraico è come un ordine religioso che ha bisogno, per mantenere la sua coesione interna, di una regola più rigida (la Torah) di quella che predica ai laici (il noachismo).

Gli ebrei tendono a vedere nello Yom Kippur una giornata che riguarda solo loro, ed i brani del Pentateuco prescritti per quel giorno incoraggiano questo; ma il Libro di Giona, che anch'esso deve essere letto quel giorno, spiega come esso serva a preparare la redenzione anche delle nazioni.

In [12] avevo commentato Matteo 20:1-16, facendo notare che quella parabola sembra proprio un sermone di Kippur, ed avevo contestato la classica interpretazione cristiana (secondo cui i primi chiamati a lavorare nella vigna sono gli ebrei, e gli ultimi i gentili), in quanto essa presupporrebbe che lo Yom Kippur fosse interpretato da Gesù in modo più universalistico di come fanno abitualmente gli ebrei.

Ma quello che ho detto ora della vicenda di Giona mi smentisce, in quanto mostra che un ebreo di grande caratura, come certo era Gesù, poteva averlo fatto. Un sermone di Kippur può essere aperto alla possibilità che anche i gentili beneficino dell'alleanza prima riservata agli ebrei - Giona, il riluttante ma fenomenale predicatore, così ha fatto con i niniviti.

Nel calendario ebraico, è Sukkot, la Festa dei Tabernacoli, quella in cui gli ebrei si preoccupano esplicitamente dei gentili, sacrificando 70 tori (uno per [mitica] nazione), finché c'era il Tempio, per espiarne i peccati; i rabbini hanno notato che le somiglianze tra le celebrazioni di Kippur e Sukkot non si limitano alla successione cronologica (vedi [13]), ma non so se sia mai stato tentato uno studio più approfondito del mio sull'universale valenza di Yom Kippur.

Si potranno dire tante altre cose, l'ultima delle quali mi pare: "Chi rappresenta Giona?" Tutte le risposte si possono sussumere ne: "Il redentore di tutte le nazioni". La mia personale interpretazione è che questo redentore sia il popolo ebraico nel suo complesso.

Yonah, la versione ebraica originale del nome Giona, vuol dire letteralmente "colomba" [Strong 03123], e la parola compare per la prima volta in Genesi 8:8 [14], quando Noé invia la colomba in ricognizione, ed in Genesi 8:11 la colomba torna con il ramoscello d'ulivo nel becco, a mostrare che Dio ha fatto pace con l'umanità e promulgherà il Brit Noach = Alleanza noachide con essa.

Giona, nuova colomba, deve proclamare alle nazioni quest'alleanza - superando i per altri versi comprensibili risentimenti verso la prima di loro, Ninive, attestati pure da Isaia, Naum, Sofonia.

Uno dei midrashim citati in [4] dice che Giona non pagò solo tutto il viaggio in anticipo - comprò pure nave e carico. Divenne perciò l'armatore, ed il fatto che i marinai si permettessero di intimargli di pregare (perlomeno) non deve stupire: in mare si obbedisce al capitano, e lo deve fare anche l'armatore, che in teoria potrebbe licenziarlo.

Inevitabile è paragonare nuovamente quella nave all'Arca di Noé - che impone a chi è a bordo un comportamento esemplare, e salva Giona in un modo a priori impensabile, portandolo all'appuntamento con il pesce. Puoi essere il padrone della barca, ma non decidi tu la rotta.

Raffaele Yona Ladu

domenica 20 settembre 2015

La più antifemminista delle religioni abramitiche

[0] Neged/contra Edith Stein

[1] Gendering the Human’s Soul in Islamic Philosophy An Analytical Reading on Mulla Sadra. - International Journal of Women's Research

Premessa: ritengo che la peggior forma di oppressione del gentil genere passi per l'essenzializzazione della differenza sessuale. Chi invece ritiene che essenzializzare voglia dire "liberare" può smettere di leggere quest'articolo, perché non troverà nulla con cui concordare - ed aspetto il giorno in cui, come ha essenzializzato la differenza tra uomini e donne, essenzializzerà quella tra ebrei e gentili, bianchi e neri, ecc., e riaccenderà i forni di Auschwitz per permettere alle persone di un'essenza di ardere quelle di diversa essenza.

Essenzializzare la differenza sessuale è una cosa che fa la Chiesa cattolica a partire dal pontificato di Giovanni Paolo 2°, e la canonizzazione di Edith Stein è stata strumentale in questo, come ho voluto mostrare in [0].

In [0] ho mostrato anche che, pur se ci sono ebrei abbastanza crudeli da essenzializzare la differenza tra ebrei e gentili, nessuno essenzializza quella tra uomini e donne - e perfino la Qabbalah, che distingue tra anime maschili ed anime femminili, non ne fa una differenza di essenza nel senso aristotelico del termine.

E che succede nella terza religione abramitica? [1] è un articolo pubblicato in inglese (non chiarissimo, e me ne duole) da una rivista iraniana, che recita a pagina 10 del PDF (i link li ho aggiunti io):
Le differenze tra uomo e donna secondo i filosofi islamici
Avicenna non ha discusso la differenza come un problema dipendente, ma considera le differenze tra uomo e donna classificate come accidenti della differenza umana nella categoria di caratteristiche di gruppo nel Libro della Guarigione. Egli definisce la femminilità e la mascolinità come accidenti creatori di gruppo e non come creatori di diverse specie. Suhrawardi (noto anche come il "Maestro dell'Illuminazione") definisce la specie umana come la combinazione di uomo/donna ed eccesso/età (Sadeqi, 2012, p.33). Mulla Sadra considera la femminilità e la mascolinità come caratteristiche di rango animale. È la distinzione del primo rango degli animali dalle piante. Perciò al genere non può riconoscersi la qualità di creatore di specie (Ibid: 34).
Quindi ... l'unica delle religioni abramitiche ad essenzializzare la differenza sessuale è quella cattolica contemporanea, insieme con alcune confessioni protestanti. Congratulazioni vivissime!

L'isteria sul genere è una lotta teologica di coloro che hanno voluto introdurre codesta essenzializzazione contro chi ha voluto mantenere la posizione tradizionale aristotelico/tomistica secondo cui le anime non hanno genere, e minaccia di tralignare in una persecuzione contro chi rifiuta l'essenzializzazione per motivi religiosi (ebrei e mussulmani, per incominciare).

Raffaele Yona Ladu

sabato 5 settembre 2015

Neged/Contra Edith Stein


Devo abbozzare qui una critica alla concezione della donna di Edith Stein (1891-1942).

Non sarebbe necessario precisarlo, ma, poiché molti ebrei hanno reagito assai male alla beatificazione e canonizzazione di lei, convertitasi dall'ebraismo al cattolicesimo, entrata nel Carmelo scalzo, e poi morta ad Auschwitz perché per i nazisti un ebreo non poteva smettere di esserlo, ritengo opportuno affermare che io cerco solo di confutare le sue idee, non di mettere in discussione la sua vita.

La pulce nell'orecchio me l'aveva messa il libro che ho recensito in [0], ed in effetti in [1] ho trovato diversi brani che studiano la possibilità di definire la specie dell'anima femminile.

Che cosa implichi questo programma lo spiega la sua opera Problemi dell'educazione della donna, pubblicata nel 1932, riportata nel libro [1], e della quale vi riporto il brano che mi sembra più significativo (pp. 184-185 della mia edizione):
Ho già parlato della specie donna (*). Con specie dobbiamo intendere qualcosa di fisso, che non può mutare. La filosofia tomista usa in questo caso anche l'espressione forma, e intende la forma intima che condiziona la struttura di una cosa. Il tipo non è immutabile nello stesso identico senso della specie. Infatti un individuo può passare da un tipo all'altro; ciò avviene per esempio nel processo evolutivo, in cui l'individuo passa dal tipo-fanciullo al tipo-giovane, ed infine raggiunge il tipo dell'uomo maturo. Ma questo sviluppo gli è imposto proprio da una forma interiore. Il fanciullo può anche mutare il proprio tipo se passa da una classe a un'altra (se si trova cioè tra altri fanciulli) o se, strappato dalla sua famiglia, viene posto in un'altra. Questi mutamenti si attribuiscono all'influsso dell'ambiente. Ma dove si tratta di una forma interiore, tali influssi si arrestano. La forma interiore o specie, perciò, determina un arco, entro il quale i tipi possono variare. 
È ben chiaro dunque che il problema della specie donna è principio e fondamento di ogni problema femminile. Se esiste realmente questa specie, essa non potrà essere cambiata da nessun mutamento delle condizioni di vita, dei rapporti economici e culturali, e dell'attività propria. Se non vi è questa specie, si deve ritenere che l'uomo e la donna sono distinti tra di loro solo come tipi, e non come specie; per cui, dati particolari condizionamenti, è possibile il passaggio da un tipo all'altro. Ciò non è tanto assurdo come può apparire al primo istante. Si opinava una volta che le distinzioni corporee fossero fisse e stabili, quelle dell'anima invece fossero indefinite e variabili. Ma proprio contro la fissità delle distinzioni corporee si possono addurre certi dati di fatto, come le forme di androginismo e di mutamento di sesso. 
(*) Nel manoscritto è qui inserita la seguente frase, depennata dall'autrice: "(Il modo comune di parlare distingue certo tra genere maschile e femminile. Ma vi è il problema se genere in questo senso e genere nel senso proprio della logica abbiano lo stesso significato. Non vorrei però appesantire la nostra ricerca con questo problema)".
Qui il pensiero di Edith Stein cozza contro quello di Tommaso d'Aquino, il quale (come ho riportato in [0]) negava che uomini e donne fossero specie distinte, perché questo avrebbe implicato attribuire loro essenze distinte - cosa confutata appunto da Tommaso d'Aquino.

Ed ammettere che non tutti gli esseri umani abbiano la medesima essenza può essere sembrato ad Edith Stein un grande progresso, rispetto al forzare le donne a conformarsi ad un modello maschile, ed a rimproverarle perché non ci riuscivano, ma già quindici secoli prima di lei ci si era resi conto di quanto fosse pericoloso.

In [0] ho riassunto una breve frase del Talmud ([2]), ma ora ve ne riporto una citazione più ampia e fedele (in corsivo le due risposte che più mi interessano):
I nostri maestri hanno insegnato: "L'uomo fu creato solo" [23]. E perché mai? Perché i Sadducei [24] non potessero dire: "Ci sono molte potenze a dirigere il Cielo". Un'altra risposta è: "Per il bene dei giusti e dei malvagi, perché i giusti non potessero dire: 'Il nostro è un retaggio giusto' [25] ed i malvagi non potessero dire: 'Il nostro è un retaggio malvagio' [26]". Un'altra risposta è: "Per il bene delle [diverse] famiglie, perché non si mettessero a litigare l'una con l'altra [27]. Se ora, che ne è stata [in origine] creata una sola [28], loro litigano, figuriamoci se ne fossero state create due!" [29] Un'altra risposta è: "A causa dei rapinatori e dei saccheggiatori; ovvero, se ora, che ne era stato creato in origine uno solo, la gente rapina e saccheggia, figuriamoci se ne fossero stati creati due." [30]

INOLTRE, PER PROCLAMARE LA GRANDEZZA DI ecc. I nostri maestri hanno insegnato: [La creazione del primo uomo da solo] doveva mostrare la grandezza del Supremo Re dei re, il Santo, benedetto Egli sia. Perché se un uomo conia tante monete da un solo stampo, tutte le monete sono uguali, ma il Santo, benedetto Egli sia, ha foggiato tutti gli uomini con lo stampo del primo uomo, e non ce n'è uno uguale all'altro, dacché è scritto: 'La terra si trasfigura come creta sotto il sigillo / e appare come vestita di un ricco manto'. [31]" E perché i visi degli uomini non sono uguali? - Perché un uomo non vedesse una bella casa, od una bella donna e dicesse: "È mia, perché sta scritto: 'i malfattori sono privati della luce loro, / e il braccio, alzato già, è spezzato'. [32]" 

Hanno insegnato: Rav Meir diceva: "In tre cose l'uomo differisce dal suo prossimo: nella voce, nell'aspetto e nella mente [cioè nei pensieri]. 'Nella voce e nell'aspetto', per prevenire l'impudicizia; [33], 'nella mente', a causa dei ladri e dei rapinatori. [34]"  
Note: 
23. Cioè, fu creato un uomo solo.
24. Molte antiche versioni qui ed in diversi altri luoghi seguenti hanno "Minim" [Nota di RYL: letteralmente significa "eretici", e spesso si sospetta che si tratti dei cristiani]. La parola "Sadducei" ce la devono avere infilata i censori.
25. E perciò non siamo obbligati a sfuggire alle tentazioni.
26. E perciò non siamo capaci di resistere alle tentazioni.
27. A proposito della superiorità dei loro rispettivi lignaggi.
28. Cioè, quando discendono tutti dallo stesso padre.
29. Cioè, se provenissero da diversi ceppi.
30. In questo caso qualcuno potrebbe sostenere che la terra in origine apparteneva al suo primo antenato.
31. Giobbe 38:14.
32. Giobbe 38:15; "la luce loro" = il loro viso, cioè non è uguale a quello del loro prossimo; "il braccio alzato già" = la scusa per atti prevaricatori.
33. Perché non si confondessero i sessi, né alla luce né al buio.
34. A cui non si possono affidare i segreti degli altri.
I rabbini qui non parlano di essenza, anche se probabilmente non erano digiuni di filosofia greca, ma di genealogia: tutte le persone condividono l'essenza del loro capostipite; e se i capostipiti fossero stati più di uno, ognuno avrebbe rivendicato di essere di essenza migliore degli altri.

Considerato quello che si diceva degli ebrei, prima e dai nazisti, possiamo dire che i chaza"l (gli autori della letteratura rabbinica) sono stati profetici, non solo preveggenti.

Nel 1966 il naturalista Konrad Lorenz, che pure aveva simpatizzato per i nazisti, coniò il termine "pseudo-speciazione" (attualmente si preferisce parlare di "etnocentrismo"), ispirandosi ad un'idea dello psicologo (figlio di madre ebrea) Erik H. Erikson, per indicare la tendenza dell'uomo a ritenere una parte dei propri simili di specie diversa dalla propria, con il rischio di trattarli quindi come se non fossero il proprio prossimo.

Nel 1973 Lorenz pubblicò il libro [3], in cui scriveva (corsivi dell'autore, sottolineature mie):
C'è tuttavia un lato gravemente negativo: la pseudo-speciazione è causa di guerre. La coesione del gruppo creata dal rispetto delle norme sociali specifiche del gruppo e dai suoi riti, è inseparabilmente congiunta al disprezzo e perfino all'odio del gruppo rivale simile. Se la divergenza dello sviluppo culturale è stata portata abbastanza avanti, porta inevitabilmente alla sfortunata conseguenza che un gruppo non considera l'altro del tutto umano. In molte tribù primitive il nome della propria tribù è sinonimo di Uomo - e da questo punto di vista non si può più considerare cannibalismo il mangiare i guerrieri caduti della tribù nemica! La pseudo-speciazione sopprime il meccanismo istintivo che normalmente impedisce l'uccisione di membri della stessa specie, mentre, diabolicamente, non impedisce affatto l'aggressione intraspecifica.
Gli studiosi dell'Olocausto e di altri genocidi (io conosco soprattutto l'ungherese emigrato in America Erwin Staub) non amano citare Lorenz, ma hanno detto comunque che passaggio fondamentale per un genocidio è la deumanizzazione delle persone da vittimizzare e sterminare - se non vengono più riconosciute come appartenenti alla nostra medesima specie, si può far loro quello che si vuole senza riguardo né rimorso.

Edith Stein ha "pseudo-speciato" le donne dagli uomini, senza sapere che un'operazione simile, seppur con diversi presupposti e ben maggior rozzezza, la stava svolgendo chi l'avrebbe mandata al forno.

La sua metafisica le avrebbe permesso di distinguere i generi delle anime facendone dei "tipi" e non delle "specie", ma ha esplicitamente rifiutato di farlo, e sebbene lei sapesse (ha commentato il De Veritate di Tommaso d'Aquino, e lo cita spesso) di porsi contro il Dottor Angelico, non si è chiesta se lui non la sapesse più lunga.

Lei dice di essersi ispirata nel suo pensiero all'opera di una suora cattolica, Suor Thoma Angelica, che voleva anch'ella che la donna venisse riconosciuta (ontologicamente, non biologicamente) di specie distinta dall'uomo, ma io ho il sospetto che lei sia stata ispirata da una Qabbalah maldigerita.

La Qabbalah è un insieme di dottrine interessanti, che però vanno vagliate attentamente. Mi scorrerò la biografia di Edith Stein [4], per capire se ha ricevuto influenze cabalistiche, ma l'opera teatrale [5], che immagina che Teresa d'Avila avesse ricevuto tra le sue novizie una convertita dall'ebraismo chiamata Alma de Leòn [Mosé de Leòn è l'autore dello Zohar, secondo il compianto Gershom Scholem], esplicitamente ispirata ad Edith Stein, presume che la Qabbalah avesse davvero lasciato la sua impronta sulla giovane filosofa.

Cominciamo con il citare Gershom Scholem, che nella voce Kabbalah dell'Encyclopedia Judaica [6] scrisse (corsivi dell'autore, sottolineature mie):
I diversi strati dello Zohar riflettono le varie dottrine psicologiche verso cui inclinava il suo autore in diversi momenti. Nel Midrash ha-Ne'elam c'è tuttora un chiaro debito verso la psicologia della scuola di Maimonide, con la sua dottrina dell'"intelletto acquisito", che si attiva nell'uomo attraverso la sua ricerca della Torah e dei suoi comandamenti, e che esso solo ha il potere di dargli l'immortalità dell'anima. Inseme con questo, però, troviamo la caratteristica divisione aristotelica dell'anima, pur senza l'identificazione con nefesh, ru'aḥ, e neshamah, ed in collegamento con diverse funzioni che sono peculiari al solo Mosé de Leon. Pertanto, ad esempio, troviamo una distinzione tra l'"anima parlante" (ha-nefesh ha-medabberet) e l'"anima razionale" (ha-nefesh ha-sikhlit), e solo quest'ultima ha i poteri soprannaturali che possono portare l'uomo alla perfezione, e che è identica con l'anima vera, o neshamah. In effetti, la facoltà chiamata nefesh comprende tutte le tre forze, l'animale, la vegetativa e la cognitiva (medabber), che compongono la totalità psicofisica dell'uomo. La neshamah, di contro, è una forza che si preoccupa solo della conoscenza mistica, mentre la ru'ah rappresenta uno stadio intermedio che implica la capacità etica di distinguere il bene dal male. Ma la neshamah stessa, d'altro canto, in virtù dell'essere "una parte di Dio lassù", è capace di compiere solo il bene. Qui non è possibile parlare di un approccio coerente: dei motivi puramente religiosi si alternano liberamente con motivi filosofici, una confusione che si estende alla relazione tra la consapevolezza intellettuale e la neshamah stessa. In alcuni punti l'autore, che esprime le sue opinioni attraverso le bocche di vari saggi rabbinici, perfino abbandona del tutto la divisione tripartita dell'anima a favore di una duplice distinzione tra l'anima vitale (ha-nefesh ha-ḥayyah) e la neshamah. Nel corpo principale dello Zohar queste opinioni divergenti sono consolidate in una posizione in qualche modo unificata in cui predominano i motivi religiosi sui tradizionali motivi filosofici e psicologici. Qui emerge una contraddizione fondamentale tra la credenza che l'anima sia universalmente la stessa per l'umanità intera, ed un'altra, un doppio standard per cui l'anima dell'ebreo e quella del gentile sono dissimili. I cabalisti di Gerona conoscevano solo la prima dottrina, cioé dell'anima che è universalmente condivisa da tutti i discendenti di Adamo, ed è nel corpo principale dello Zohar che leggiamo per la prima volta di una duplice benché corrispondente divisione delle anime in non-ebree ed ebree. Il primo gruppo ha la sua origine nell'"altro lato", o sitra aḥra, il secondo nel "lato santo", o sitra di-kedusha. L'interesse dello Zohar è quasi interamente limitato alla struttura psichica dell'ebreo. Nella Kabbalah successiva, specialmente nelle opere di Ḥayyim Vital, si dà enorme enfasi a questa dualità tra l"anima divina" (ha-nefesh ha-elohut) e l'"anima naturale" (ha-nefesh ha-tiv'it).
La pseudo-speciazione comincia nello Zohar, e temo che Edith Stein, pur non avendolo mai studiato, ne abbia assimilato la concezione (ripetuta ahinoi in moltissima letteratura successiva, sia dotta che divulgativa) in famiglia.

Se si parte dal presupposto che ebrei e gentili abbiano anime essenzialmente diverse, non ci vuol niente a pensare che anche uomini e donne abbiano anime essenzialmente diverse - lo Zohar afferma anche questo (vedi [7]), ma Edith Stein riesce a fare di questa dottrina una versione meno interessante perché meno duttile.

Intanto, come avevo già riferito in [7] la Qabbalah ammette la possibilità che il genere dell'anima ed il sesso del suo corpo divergano - condizione che non viene raccomandata perché provoca sterilità, e viene ritenuta da Hayyim Vital punizione di trasgressioni sessuali compiute nella precedente incarnazione.

La metafisica di Edith Stein non è compatibile con questa dottrina cabalistica, perché per tal metafisica "anima forma corporis = l'anima è la forma del corpo", per cui se l'anima ha un genere essenziale, il corpo deve per forza nascere con il sesso corrispondente.

E le complicate forme di reincarnazione previste dalla Qabbalah, in cui più anime possono abitare il medesimo corpo (il termine tecnico è "vestirsi del"), entrando ed uscendo anche durante la vita della persona, sono incompatibili con l'aristotelismo, perché, se l'anima è l'essenza della persona, questa cambierebbe essenza durante la propria vita, e si troverebbe ad avere spesso più di un'essenza, cose assolutamente non previste dalla metafisica aristotelica.

Conciliare la reincarnazione cabalistica con la metafisica aristotelica impone di modificare quest'ultima radicalmente; ma l'altra difficoltà si risolve facilmente ammettendo che, se le anime hanno un genere, esso è un "tipo" e non una "specie", e non tocca l'essenza dell'anima, del corpo, della persona.

Un sistema cabalistico che fa questo lo trovate in [8] - traduciamo:
(...) 
D: Che differenza c'è tra le anime maschili e femminili? 
R: Indipendentemente dal corpo fisico nel nostro mondo, le anime maschili e femminili sono due tipi di parti delle anime che compongono il Partzuf [NdRYL: letteralmente "volto"; ma anche "configurazione" - e talvolta viene tradotto con "persona" od "ipostasi", con un significato affine a quello di questi termini nella dottrina cristiana della Trinità; tutto questo mi fa pensare che la miglior traduzione di Partzuf sia "profilo"] spirituale, dette anche la "destra" e la "sinistra" del Partzuf. Un cabalista che salga per la scala spirituale passa alternativamente per la parte maschile del vaso e per quella femminile. Pertanto in un momento il cabalista ha un'anima maschile, ed in un altro momento ha un'anima femminile.
Un esempio di ciò è l'anima dell'Uomo Primordiale. Si frantumò in 600.000 pezzi, e poi in molti e molti di più. Però, il contenuto del Partzuf originale si mantiene in ognuno di essi, facendo di ogni pezzo un minuscolo Partzuf a sé stante. Tutti gli attributi e le forze dell'intera creazione che erano concentrati nel primo Partzuf spirituale ora esistono in ogni sua minuscola scintilla.
Queste scintille sono chiamate le "anime" delle persone. Ognuna ha la sua propria origine nel Primo Uomo, ed ognuna viene da una diversa Sefirah o sub-Sefirah all'interno delle dieci Sefirot dell'Uomo Primordiale. Queste anime si dividono in anime maschili e femminili, e si vestono con il corrispondente organismo corporeo. 
Siamo nati con un solo compito. Le nostre caratteristiche animali e corporee non cambiano, mentre i nostri attributi interni e spirituali cambiano a seconda delle nostre correzioni. Perciò, una donna può sperimentare situazioni spirituali maschili, ma all'esterno, il suo corpo, che è il vestito di questo mondo, rimarrà di una donna.
Ma nel mondo spirituale, però, l'anima sperimenta correzioni sia nella sua parte femminile che nella sua parte maschile. Nel nostro mondo, il corpo è fisso e conserva il suo genere - maschile o femminile.
Ad una prima lettura, sembra che la Qabbalah preveda che le anime abbiano un genere (e di tipo binario - maschile o femminile), ma si guardi bene dall'essenzializzarlo - nel sistema cabalistico di Michael Laitman, il genere muterebbe addirittura a seconda delle situazioni spirituali che si debbono affrontare, ed un'ascesa spirituale imporrebbe numerosi mutamenti di genere animico.

Leggendo però anche la pagina [9] del medesimo sito che vi riporto qui:
D: Cos'è l'oggetto spirituale chiamato "anima"?
R: Lo Zohar scrive della relazione tra tutti i cinque Partzufim del mondo di Atzilut, che è il mondo che governa la realtà. Dice: “Perciò l'uomo lascerà suo padre e sua madre” (Genesi 2:24), intendendo dire che l'anima diverrà indipendente da sua madre e suo padre, raggiungerà la completezza e l'accoppiamento indipendente con Malchut, per unirsi con il Creatore, e creare nuovi Partzufim – anime corrette.
Un'anima è il Partzuf di Malchut del mondo di Atzilut. Zeir Anpin, il Creatore, è suo marito. Il Partzuf di Abba VeIma – Hochma e Bina – fornisce all'anima tutto quello che le serve.
sembra opportuna una diversa lettura: l'anima è un Partzuf, ed i Partzufim sono androgini - ma non sono capaci di autofecondazione.

Essi devono unirsi al Creatore per generare ulteriori Partzufim - ma tutti i Partzufim svolgono il medesimo ruolo nei confronti del Creatore in quest'unione, quindi non possono essere differenziati in base al genere.

Anche nella mistica cristiana si parla volentieri dell'unione dell'anima con Dio, ed in tutte le descrizioni Dio viene paragonato ad un uomo e l'anima alla sua donna - ma questo significa che nemmeno per la mistica cristiana l'anima ha un genere essenziale, altrimenti diverso sarebbe il rapporto che Dio ha con i mistici e le mistiche.

Una filosofa convertitasi al cattolicesimo dopo aver letto l'autobiografia della grande mistica Teresa di Gesù avrebbe dovuto rendersene conto. Un militante LGBTQIA+ come me provvisoriamente descriverebbe Dio come "attivo" e l'anima come "passiva", ma è solo un artificio lessicale per indicare una distinzione dei ruoli nel rapporto che trascende quella dei generi. Quando avrò studiato meglio, rivedrò quello che ho appena scritto.

Tornando alla Qabbalah, la lettura che propongo del sistema di Michael Laitman è che i Partzufim sono appunto androgini, ma quelli detti "anime" possono esprimere un genere maschile oppure femminile a seconda delle circostanze.

La scelta che fanno al momento di "vestirsi" di un corpo è definitiva (gli autori trascurano i casi di intersessualità e transessualità, ma nel contesto sembra un'omissione facilmente rimediabile), ma nella vita spirituale le circostanze impongono di cambiare spesso il genere da esprimere - perché le parti maschile e femminile dell'anima vanno corrette alternativamente, ed il genere che non viene espresso, ma rimane latente, non può interagire né essere corretto.

La situazione è simile a quella di molte specie di lievito (vedi [10]), che hanno due mating types, a ed α, e nelle loro forme selvatiche possono facilmente cambiare dall'uno all'altro (i lieviti di laboratorio vengono geneticamente modificati per impedirglielo). L'associazione Lieviti [11] ha assunto questo nome appunto ispirandosi a loro.

Ma ad Edith Stein non interessava una dottrina tanto duttile - al contrario: la sua opera Problemi dell'educazione della donna, da cui ho tratto la prima citazione, fu pubblicata nel 1932 - e nella primavera del 1930, secondo [12], era stata eseguita a Berlino la prima riassegnazione chirurgica del sesso (ora la si chiamerebbe "operazione di confermazione del genere").

La frase di Edith Stein: "Ma proprio contro la fissità delle distinzioni corporee si possono addurre certi dati di fatto, come le forme di androginismo e di mutamento di sesso" fa pensare che quell'evento l'avesse fortemente turbata, di un turbamento simile a quello che oggi provano le femministe radicali trans-esclusive ([13]).

Ma lei era di ben diverso temperamento, ed anziché ricorrere ad aggressioni verbali ha elaborato una filosofia ed una teologia che blindassero la differenza sessuale delegittimando le persone trans - ed i rischi di tal teologia anche per le persone cis, che vedono da essa legittimata la possibilità di essere "pseudo-speciate", sono stati sottovalutati da chi ha fatto di Teresa Benedetta della Croce OCD (il nome che Edith Stein prese quando divenne una suora carmelitana scalza) patrona d'Europa.

Non è facile rinfacciare i suoi errori ad una vittima del nazismo, ma se non lo si fa non si impedisce a chi non li noterebbe da solo di copiarli.

Raffaele Yona Ladu

venerdì 17 luglio 2015

No gender? Nulla transubstantiatio!







L’articolo [1] mi infastidisce parecchio, e vi spiego perché. L’autore, Alessandro Fiore, se la prende con il concetto di “identità di genere” e con la prevalenza che le persone più illuminate vogliono che abbia sul “sesso biologico”.

Ritengo opportuno ricordare che sono un ebreo umanista, e quello che significa l’ho spiegato in [0a] e [0b]; quello che conta osservare è che per gli ebrei umanisti la circoncisione non ha alcuna importanza, e ne ha molta invece l’autoidentificazione con il popolo ebraico.

Spinoza, considerato il precursore dell’ebraismo umanista, ma che riteneva la circoncisione sufficiente a garantire l’esistenza del popolo ebraico, è servito: in queste cose preferiamo seguire Ben Gurion, che diceva: “Chiunque è abbastanza meshugge (pazzo, in yiddish) da dichiararsi ebreo è ebreo”.

Gli ebrei maschi e le persone transessuali hanno lo stesso problema: gli sciocchi vogliono che i loro genitali confermino quello che loro dichiarano di essere. Gli ebrei umanisti recitano invece in questo la parte dei transgender – i genitali non sono stati mutati, ma l’identità ebraica/di genere non è meno radicata.

Questa coincidenza tra ebrei e trans ha un curioso corrispondente linguistico: la parola ’ivri (ebreo - per la precisione, di quelli vissuti da Abramo a Nabucodonosor) viene dal verbo ’avar, che non significa “passare” solo nel senso banale di “attraversare”, ma anche di “mutare”, “passare come trans”, “transizionare”. Ed infatti la principale associazione transgender israeliana si chiama “Ma’avarim = attraversamenti, passaggi, transizioni”.

Se ne possono trarre anche conclusioni “teologiche”: nessun rabbino sostiene che compito dell’ebreo sia vivere secondo una “legge naturale”, e la circoncisione, il “patto di Abramo”, il primo ’ivri, suggella l’impegno a trascendere la propria natura per porsi al servizio di Dio.

Una persona che mi dice che quello che conta è il corpo e non la propria identità ha praticamente deciso di bandire l’ebraismo umanista  – quello che nasce come un attacco alle persone transgender trascende in attacco alla libertà religiosa (l'ebraismo umanista non è teista - ma non lo è nemmeno il buddismo).

E con una vittima illustre ed inaspettata: il cristianesimo cattolico.

Infatti il dogma della Transustanziazione [2] stabilisce che l’epiclesi trasforma il pane ed il vino nel corpo e nel sangue di Cristo – il quale è presente in maniera vera, reale e sostanziale nelle specie eucaristiche, pur sotto l’apparenza del pane e del vino.

Ragionando come Alessandro Fiore, ed il sito Provita che lo ospita, sarebbe di basilare importanza per la vita sociale rifiutarsi di vedere nelle specie eucaristiche alcunché di diverso da quello che può provare l’analisi chimica, e condurre feroci campagne prive di ogni riguardo per il prossimo che invece lo fa, denunziando questa insistenza nel vedere Gesù nell'Eucaristia come cosa "contro natura".

Se fossi cattolico, sarei in un gran pasticcio: se io credo nella Transustanziazione, vuol dire che sono posseduto dall’“ideologia del gender”, se non ci credo sono un eretico scomunicato vitando.

Il caso del cristianesimo cattolico è solo il più evidente – ma non è che le chiese protestanti e riformate se la cavino molto meglio.

Anche quelle che considerano Cristo presente solo spiritualmente e misteriosamente nell’Eucarestia (come i valdesi ed i calvinisti [3]) chiedono ai fedeli di saper vedere oltre la realtà fisica, ed aprirsi alla realtà psicologica e spirituale – devono considerare la loro fede inquinata dall’ideologia del gender?

Siamo nuovamente di fronte al problema già evidenziato da Levinas nel 1934 [4] - i no gender stanno attaccando il cristianesimo (e l’ebraismo), non le persone LGBTQIA+.

Raffaele Yona Ladu


venerdì 19 giugno 2015

Intersex and Imago: Sex, Gender, and Sexuality in Postmodern Theological Anthropology / Megan K. DeFranza

Nella newsletter del Coordinamento Teologhe Italiane sono stati oggi pubblicati questi interessantissimi link sull'opera della teologa evangelica Megan K. DeFranza:


[2] Intersex and Imago: Sex, Gender, and Sexuality in Postmodern Theological Anthropology

la quale ricorre alle persone intersessuali per superare il binarismo dei sessi/generi della teologia cristiana, che viene comunemente basato su una lettura pedestre (per non dire maldestra) di Genesi 1:27.

Se [1] è una breve presentazione, con una videointervista di 18 minuti ed oltre all'autrice, [2] sembra la dissertazione dottorale da cui è nato il libro Sex Difference in Christian Theology : Male, Female and Intersex in the Image of God, e che mi permetto ora di recensire.

La dissertazione nasce con una lunga trattazione medica delle varie forme di intersessualità, alle quali l'autrice trova un riferimento teologico cristiano negli "eunuchi", già presenti nella Bibbia ebraica (il passo più significativo sembra Isaia 56:3), e citati da Gesù in Matteo 19:12.

Questo dà all'autrice il destro per esplorare il sistema dei sessi e dei generi dal mondo antico (greco, romano, ebraico, per cominciare; mi permetto però di osservare che anche il Talmud parla degli intersessuali, ma l'autrice lo ignora - qui è all'opera il vecchio pregiudizio per cui, dopo la chiusura del canone biblico, gli ebrei non hanno più detto niente di interessante) fino all'età contemporanea, osservando che il binarismo moderno è un portato dell'età vittoriana (non è una sorpresa per chi ha letto Foucault), e che prima (Laqueur docet) vigeva semmai un modello unitario, in cui la donna era un uomo invertito e meno perfezionato, e l'eunuco/intersessuato stava in mezzo.

L'attuale insistenza cristiana sulla "complementarietà dei sessi" viene fatta risalire a Karl Barth, il quale reagì alla crisi dell'ontologia del suo tempo (a me viene in mente Heidegger) ponendo un soggetto non più sostanziale, ma relazionale - per la precisione, facendo del rapporto uomo-donna l'immagine delle relazioni tra le tre persone della Trinità.

Karl Barth ha avuto allievi in tutto il mondo cristiano; in campo cattolico il più influente per l'argomento della dissertazione è stato Giovanni Paolo 2°, mentre alla difficoltà di ridurre ad unità l'elaborazione teologica di centinaia di chiese riformate senza un centro dottrinale unitario l'autrice ha rimediato scegliendo come teologo paradigmatico Stanley Grenz.

L'autrice è un'eteronormativa il cui ideale relazionale è la monogamia eterosessuale, eppure trova nei due teologi motivi sia di lode che di critica.

Di Giovanni Paolo 2° ella critica il suo rigido binarismo dei sessi/generi, ed il fatto che gli "eunuchi" evangelici vengano da lui riduttivamente intesi come le persone che non possono o non vogliono generare - che esistano dei corpi irriducibili al binarismo maschio/femmina al defunto pontefice non era venuto in mente.

Di Stanley Grenz ella critica il primato dell'eterosessualità, anzi, il ritenerla alla base di tutte le relazioni umane, compresa quella con Dio o con i confratelli cristiani - eppure il defunto teologo citava John Money, il che fa pensare che egli conoscesse l'esistenza degli intersessuali.

Quello che baluginava nei maestri diventa eclatante nei discepoli: la differenza sessuale (formulata talvolta in termini che volutamente ignorano l'elementare differenza tra sesso e genere, cosa che, io penso, Luce Irigaray non si sarebbe mai sognata di fare) viene esagerata quantitativamente, e viene qualitativamente intesa come di portata ontologica.

In questo binarismo elevato ad ontologia non c'è posto per le persone intersessuali - vanno normalizzate, a cura del medico o del chirurgo.

L'autrice evidenzia anche i rischi teologici di quest'ontologia; per esempio, nessun teologo nega che Gesù fosse un uomo; ma se i due sessi sono irriducibilmente diversi, l'incarnazione di Gesù rischia di valere per gli uomini e non valere per le donne - i primi sarebbero salvati, le seconde no, e per gli intersessuali occorrerebbe decidere caso per caso.

Inoltre, i teologi sottovalutano le differenze anche fisiologiche all'interno dei due sessi del loro modello - cosa invece ben chiara ai medici (per non parlare di antropologi, psicologi e sociologi); il rischio è che il binarismo dei sessi degeneri nell'imposizione di un modello unico di mascolinità e femminilità - l'incubo dei missionari almeno dai tempi di Matteo Ricci, osservo io!

E l'autrice fa notare che il "modello unico" femminile è più elaborato di quello maschile, perché alle donne si prescrive quello che devono fare ("prendersi cura") molto più spesso che agli uomini! Osservo che il privilegio dell'identità dominante (il non aver bisogno della coscienza di sé) diventa qui una punizione per contrappasso dantesco.

L'autrice cerca di uscire dalle aporie della differenza sessuale elevata ad ontologia partendo proprio dall'intersessualità, in quanto dimostra che maschi e femmine sono fatti della medesima materia (stuff).

Mostra anche, a suo avviso, che non serve avere più di due sessi - occorre però evitare di fare della loro differenza un'ontologia, in modo da consentire una certa variabilità di caratteristiche, e tener presente (l'osservazione ed il paragone sono della neurologa Melissa Hines) che anche le differenze di attività cerebrale tra i sessi sono molto sfumate, molto di più che nel campo della statura.

È facile notare che gli uomini in media sono più alti delle donne, ma nessuno direbbe che una persona è maschio o femmina solo conoscendone la statura; in modo molto più sfumato, si possono individuare pattern di attivazione cerebrale maschili e femminili, ma una TEP non ci rivela se è stata scattata ad un uomo o ad una donna.

Risolvere queste aporie passa per il reinterpretare i racconti della Creazione. Lei non tenta di interpretare in modo metaforico Genesi 1:27 (come invece fanno gli ebrei), ma come l'inizio di una lunga storia.

Se la prima coppia umana aveva il dovere della fecondità, e l'unica differenza tra Adamo ed Eva era quella necessaria a generare, proprio il loro successo ha creato una società in cui le differenze sono proliferate, alcune diventando più divisive di quella sessuale (si pensi alla razza od all'etnia) - e la fecondità diventa meno importante, tanto che alcuni teologi (non cattolici) si chiedono se "Siate fecondi e moltiplicatevi" sia tuttora un ordine preciso per gli sposi cristiani, od una benedizione per loro.

Il fatto che né Adamo né Eva fossero intersessuali non vieta che dopo di loro queste persone possano apparire, e se Gesù nel Vangelo le loda, ciò significa che non è il caso di rettificarle a forza.

Il mondo che verrà non sarà un mondo senza differenze, ma un mondo in cui esse non faranno danno - è l'opinione anche di alcuni teologi della disabilità, i quali osservano che, come Gesù risorse con le mani ed il petto piagati, così i disabili risorgeranno con la loro disabilità. Ma non nuocerà più loro!

L'eunuco biblico, che con qualche cautela si può paragonare all'intersessuale di oggi, diventa per l'autrice il paradigma dell'inclusione - e nel mondo che verrà non sarà più sterile.

L'ultimo capitolo della dissertazione denuncia il pericolo che nasce quando l'amore sessuale (inteso come congiunzione carnale con il proprio coniuge in vaso proprio) diventa il prototipo di ogni forma di amore.

Come ebreo non avrei niente in contrario, ed osservo che il paragone si trova nella mistica di molte religioni (il Cantico dei Cantici è solo l'esempio più noto), ma l'autrice teme che, a proporlo a tutte le persone, ponga sulle spalle di molte di loro un fardello imbarazzante.

Il celibato viene svalutato, e chi non vive una relazione coniugale deve aggiungere ai disagi della solitudine anche il senso di fallimento spirituale.

Inoltre c'è il pericolo che l'amore tra le persone della Trinità venga frainteso come "eros" e non come "agape" (Benedetto 16° sembra aver aperto una deriva pericolosa su questo fronte) - faccio però notare che è una preoccupazione puramente cristiana: come osservava Elémire Zolla, trattare con le sefirot significa praticare gli incesti incessanti che le animano. Ma questo è ebraismo postbiblico, che l'autrice programmaticamente ignora.

Ma, mentre gli ebrei che credono nella Qabbalah sono sempre pronti a ricordare che quello che accade tra le Sefirot (vedi ad esempio qui) non necessariamente è consentito all'uomo, l'autrice della dissertazione raduna quello che nelle sue intenzioni dovrebbe essere un "museo degli orrori teologici", in cui incesto tra adulti consenzienti, poliamore, omosessualità, sesso casuale, ecc. vengono giustificati dall'esempio che ne darebbero le persone trinitarie.

Se qualcuno vuole un esempio di prima mano, si legga "Il dio queer / Marcella Althaus-Reid", che ho qui recensito, non molto favorevolmente.

Per quanto io capisca le preoccupazioni dell'autrice, ritengo però questa la parte più debole della dissertazione; il brano più interessante mi pare quando propone di spodestare Adamo ed Eva: sono la prima coppia umana, ma non devono essere paradigmatici.

Un paradigma più interessante sarebbe di una terna: Adamo, Eva e ... l'Eunuco - che corrisponderebbe allo Spirito Santo che nella Trinità "procede dal Padre e dal Figlio". Alla Trinità divina corrisponderebbe quindi una Trinità sociale, con meno rischio di una coppia di degenerare in un binarismo ontologico.

L'ultimo capitolo infine cerca di applicare tutto questo alla cristologia - stanchezza da una parte, inesperienza dall'altra, mi consigliano però di lasciare il capitolo a persone più valide di me.

Raffaele Yona Ladu