mercoledì 29 aprile 2015

Trans-specismo ebraico

Sono un appassionato di fantascienza, e mi sono chiesto una volta se un alieno potrebbe diventare ebreo, e la risposta l'ho trovata nel pensiero di  Abraham Joshua Heschel (1907-1972).

Come ho già osservato qui, per Heschel non esiste una natura umana; come definisce egli l'uomo, allora? Nelle pagine 140 e 141 (paragrafo Ethos e pathos) del citato libro Il pensiero ebraico nel Novecento / a cura di Adriano Fabris si trova questo brano (corsivi dell'autore, sottolineature mie):
La definizione dell'uomo come immagine di Dio è fondamentale per comprendere la dimensione etica dell'uomo. Se l'uomo è a immagine di Dio, significa che "l'uomo può agire a somiglianza di Dio" (Heschel, 1969a, p. 242). Introducendo la dialettica tra "essere uomo" ed "essere umano", il nostro autore sottolineava come to be (essere) nell'orizzonte dell'ontologia e dell'antropologia biblica sia sempre un to obey (obbedire). L'uomo si sente investito di un compito e si sente richiesto da Qualcuno. "Sono comandato, perciò sono" (Heschel, 1970, p. 209). "Vi è un innato senso di debito nella coscienza dell'uomo [...] il senso di debito è il pathos dell'essere uomini" (Heschel, 1971, p. 170). Il senso di debito si esprime nell'obbedienza rivolta a Dio. Attraverso una fenomenologia del bisogno Heschel cerca di individuare come l'etica preceda l'ontologia, il dover essere fonda l'essere.
Il nostro autore definisce l'uomo come un essere di bisogno: l'uomo non ha solo delle necessità o dei bisogni, ma è essenzialmente un essere di bisogno.
All'uomo importa non solo di essere soddisfatto, ma di essere anche in grado di soddisfare, di costituire egli stesso una necessità, non soltanto di avere delle necessità. I bisogni personali vanno e vengono, ma una sola ansia rimane: sono io necessario? Non vi è uomo che non sia stato mosso da questo interrogativo ansioso (Heschel, 1970, p. 199).
*
Credo che in questo sia la chiave: chiunque si senta "richiesto da Qualcuno" è un essere umano nel senso di Heschel, anche se un biologo rifiuterebbe di ascriverlo alla specie umana, od un informatico lo definirebbe un prodotto hardware e/o software particolarmente sofisticato.

Mi rendo conto di andare oltre Heschel, ma questo non solo risponde favorevolmente al mio interrogativo, ma permette di considerare la serie a fumetti Il gatto del rabbino / Joann Sfar, ed il film che ne è stato tratto, cose tutt'altro che oziose.

Se un animale riesce a comunicarci (per il momento è solo una fantasia) il suo sentirsi "richiesto da Qualcuno", è umano dal punto di vista halakhico, e candidabile al giyur = conversione.

Resta l'interessante problema: i bisogni LGBT delle persone sono bisogni di Dio, nel senso di Heschel? Altro brano da citare (pp. 141-142) (corsivi dell'autore, sottolineature mie):
Riconoscere questo bisogno fondamentale, cioè di essere una necessità di Dio, rende possibile la distinzione tra bisogno autentico e inautentico. Nel bisogno autentico è il fine, appunto la sollecitudine divina, ciò che è buono agli occhi di Dio e dunque per l'uomo, che genera i vari bisogni, evitando che questi diventino dei fini per l'uomo. "I bisogni autentici sono bisogni di Dio" (Heschel, 1969a, p. 426). I bisogni inautentici sono quei bisogni che l'uomo pone a fine della sua azione. Il pathos dell'uomo permette di mantenere distinti il fine dal bisogno, cosicché sia il fine a determinare il bisogno e non viceversa. Il pathos fa sì che i fini diventino bisogni dell'uomo, in modo tale che l'amore per gli altri e il dovere in genere non sono più un fine a cui devo adeguarmi, ma una mia sollecitudine, una necessità e un bisogno. In tal senso parla Heschel (Heschel, 1970, p. 275) della "conversione dei bisogni". Questa conversione avviene attraverso l'educazione alla sapienza.
La mia risposta è che i bisogni LGBT hanno la stessa dignità di quelli eteronormati, perché tutte le persone desiderano essere necessarie per altre persone. Potrei pensare che una relazione valida non è quella in cui ognuno sente il bisogno dell'altro, ma quella in cui ognuno sa di essere necessario all'altro.

Il movimento conservatore, a cui Heschel appartenne dal 1945 alla morte, celebrando matrimoni religiosi omosessuali, ammettendo al rabbinato persone omosessuali, bisessuali, transessuali, e sostenendo il matrimonio egualitario, ha dato una risposta simile alla mia.

Non conosco la risposta personale di Abraham Joshua Heschel, ma so che la figlia Susannah Heschel (in ottima salute - non so quando è nata perché ha convinto tutti i siti con la sua biografia ad omettere l'anno di nascita) sostiene i diritti LGBT.

Ha pure convinto molti ad aggiungere un'arancia al piatto del Seder Pesach per rappresentare l'inclusione delle persone LGBT, ed ha scritto un bell'articolo per commemorare la marcia su Selma a cui partecipò nel 1965 il suo illustre babbo.

Abraham Joshua Heschel (il secondo da destra) a Selma

Raffaele Yona Ladu

L'uomo secondo rav Abraham Joshua Heschel (1907-1972)

Sto leggendo il libro Il pensiero ebraico nel Novecento / a cura di Adriano Fabris, il quale dedica un capitolo al celeberrimo rabbino polacco-americano Abraham Joshua Heschel (1907-1972) [specificare gli estremi della sua vita è necessario perché egli viene da un'antica famiglia chasidica, in cui almeno altri due omonimi hanno raggiunto gran fama], a cura di Paolo Gamberini.

Vi cito un brano del paragrafo L'oltre umano, alle pagine 118-119 (corsivi dell'autore, sottolineature mie):
Definendo l'uomo come essere del pathos, il nostro autore individua nel trascendimento-di-sé, che si esprime nelle diverse modalità coscienziali, la caratteristica essenziale dell'uomo. "La condizione più caratteristica dell'uomo è la scontentezza per il mero essere, originata da una sollecitudine che non si può far derivare dal semplice essere capitati qui, dall'esserci [...] La coscienza dell'io si manifesta nel suo essere sollecitata" (Heschel, 1971, p.161). Tale trascendersi del pathos dell'uomo spinge il nostro autore ad affermare che propriamente non esiste una natura umana, qualcosa di determinante che condizioni necessariamente l'uomo. L'uomo non è mai finito, non è un essere immutabile. "L'essenza dell'uomo infatti non si esaurisce in ciò che egli è, ma in ciò che può essere" (Heschel, 1970, p. 215). Queste possibilità sono dischiuse nell'immagine che ogni uomo cerca e sceglie di sé. "L'immagine dell'uomo influisce sulla natura dell'uomo. Ogni tentativo di dedurre un'immagine della natura umana si riduce alla deduzione di un'immagine che già originariamente vi era insita" (Heschel, 1971, p.17).
Heschel pone quindi una dialettica tra essere uomo (human being) ed essere umano (being human): una dialettica tra natura e cultura. Heschel vuole affermare così che l'uomo può comprendersi pienamente solo nel suo essere umano, cioè nel dover-essere, e non nel suo semplice essere-uomo. (...)
Come potete vedere, Heschel sconfessa qui completamente ogni antropologia di tipo scolastico - è non è il solo pensatore ebraico a farlo; ho citato qui rav Joseph Ber Soloveitchik (1903-1993) [anche nel suo caso occorre specificare l'intervallo della sua vita, e per lo stesso motivo - questi rabbini hanno molti celebri antenati di cui sviluppano il pensiero], e questo PDF cita un suo brano ancora più tranchant: la dignità umana non sta nel seguire la natura, ma nel vincerla.

Antonio Gramsci (1891-1937), come ho osservato qui, pur non essendo un ebreo religioso (era però un seguace dell'ebreo Karl Heinrich Marx [1818-1883], ed aveva sposato l'ebrea russa Julka Schucht [1894-1980]), aveva una concezione molto simile della natura umana - la differenza principale rispetto ad Heschel e Soloveitchik è che per loro Dio stimola l'uomo a trascendersi, mentre per Gramsci il motore dell'evoluzione dell'uomo è la Storia - leggiamo qui:
Che la “natura umana” sia il “complesso dei rapporti sociali” è la risposta più soddisfacente, perché include l'idea del divenire: l'uomo diviene, si muta continuamente col mutarsi dei rapporti sociali, e perché nega “l'uomo in generale” (…). Si può anche dire che la natura dell'uomo è la “storia” (…) se appunto si dà a storia il significato di “divenire”, in una “concordia discors” che non parte dall'unità, ma ha in sé le ragioni di una unità possibile: perciò la “natura umana” non può ritrovarsi in nessun uomo particolare ma in tutta la storia del genere umano (…). (Gramsci, 1975, Q 7, § 35, p. 884)
Gli omofobi che fanno appello alla "natura umana" non stanno cercando solo di emarginare le persone LGBT, ma anche di delegittimare (non semplicemente confutare! Confutare significa provare la falsità di un'affermazione, delegittimare significa rendere impossibile discuterla) le posizioni filosofiche e religiose che rigettano l'antropologia scolastica.

L'unico pluralismo religioso che interessa alle Sentinelle in Piedi è quello controllato da loro. Gli ebrei in esso verrebbero perennemente emarginati.

Raffaele Yona Ladu

domenica 19 aprile 2015

Il Decreto del Gerush

Gherush92 - Comitato per i diritti umani è un'organizzazione non governativa ebraica romana che non vuole che si perda il ricordo di quel che fu fatto agli ebrei della penisola iberica nel 1492 (in ebraico "gerush = divorzio, espulsione"), e nella sua newsletter ha oggi riprodotto il triste decreto con cui gli ebrei furono espulsi dalla Spagna.

Ne riproduco più sotto il testo; ora invito i miei lettori ad osservare che il principale timore dei "re cattolici" era che gli ebrei inducessero i cristiani ad apostatare, e specialmente coloro che erano tiepidamente passati dall'ebraismo al cristianesimo, più per paura che per convinzione, a seguito delle ripetute manifestazioni di antisemitismo di tutto il secolo precedente il 1492.

Perciò prima si tentò di chiuderli nei ghetti, poi di espellerli da un'intera zona della Spagna, e, visto che i timori dei "re cattolici" (di Isabella di Castiglia è tuttora in corso la causa di beatificazione) non venivano in alcun modo alleviati, si passò all'espulsione coatta, nelle modalità indicate da codesto decreto.

Non vi lasciate ingannare dalla promessa di protezione offerta dai "re cattolici" agli ebrei in attesa della partenza: anche se questo li proteggeva (forse!) da ladri, assassini, e vandali, non li proteggeva dagli speculatori, che sapevano che il tempo lavorava contro gli ebrei che dovevano liquidare i loro beni per non lasciare la Spagna poveri in canna, e potevano perciò imporre il prezzo che volevano loro.

Quell'espulsione fu anche un gigantesco esproprio del patrimonio degli ebrei, poco o punto rimunerato.

Passando dal 1492 ai giorni nostri, vediamo un simile intento nei tentativi di ostacolare i progetti di lotta all'omofobia, alla bifobia ed alla transfobia nelle scuole italiane; è sempre più difficile sostenere che l'orientamento omosessuale non abbia una componente innata, per non dire genetica, per cui è risibile pensare che una persona possa assumere un orientamento sessuale solo grazie all'educazione, od all'esempio - o che glielo si possa cambiare.

Quello che si teme non è che parlare di omosessualità, bisessualità, transessualità aumenti il numero di omosessuali, bisessuali, transessuali, bensì che metta in discussione l'eteronormatività, esponendone le fragili ed affatto convenzionali basi.

Se per un cristiano fosse facile confutare le basi dell'ebraismo, i timori dei re cattolici sarebbero stati infondati; purtroppo è vero il contrario, ed il confronto tra cristianesimo ed ebraismo, condotto in condizioni di parità, è più probabile che porti alla vittoria del secondo che del primo.

E, contrariamente a quello che dicono nella loro ignoranza i re cattolici, agli ebrei non interessa convertire i cristiani alla loro religione - agli ebrei che ora chiamiamo "ortodossi" (c'erano solo loro nel 1492) interessa che tutti gli esseri umani seguano le Sette Leggi di Noé; se i cristiani vanno considerati seguaci delle Leggi, è tuttora argomento di discussione, ma più a causa delle violente persecuzioni che hanno inflitto agli ebrei (secondo me), che per il contenuto dogmatico del cristianesimo.

I cristiani che apostatavano verso l'ebraismo erano perlopiù persone che erano passate dall'ebraismo al cristianesimo per opportunismo e senza convinzione, che si erano infine rese conto di aver sbagliato, e che gli ebrei che avevano invece perseverato volevano riunire al loro popolo - nessun altro veniva sollecitato a fare questo passo, reso difficile dalla diffidenza degli ebrei prima ancora che dallo stigma sociale che ci si attirava.

Al movimento LGBT interessa confutare le pretese dell'eteronormatività, che cerca di presentarsi come il naturale assetto delle relazioni sociali, ma non interessa eliminare l'eterosessualità - non è possibile, ed alle persone LGBT non sarebbe di alcun vantaggio.

Siamo nella stessa situazione degli ebrei nei confronti delle persone di altra religione: non interessa ai primi convertire le seconde (e non manca chi ritiene che Dio abbia voluto che così fossero costoro), bensì avere il rispetto delle seconde - ma chi ha una fede fragile vede nella stessa presenza degli ebrei una minaccia alla propria identità.

E le persone che sembrano passare dall'eterosessualità all'omosessualità in realtà eterosessuali non lo sono mai state:
  • nel "migliore"dei casi sono dei bisessuali che non avevano ancora trovato la persona giusta del proprio sesso - ma ne avevano trovate diverse del sesso opposto;
  • nel più comune, omosessuali velati che sono usciti dall'armadio;
  • nel più tragico, persone che hanno affrontato una terapia riparativa per "velarsi", ma che si sono dovute rendere conto di aver recitato una commedia; loro fingevano di voler cambiare, e gli altri fingevano di credere loro - l'esatto equivalente dei "marrani".

Purtroppo, è più facile dare di tutto la colpa a Satana che chiedersi che cosa non si è capito del mondo che ci circonda, e ritenere la minoranza che si teme (senza motivo) un agente demoniaco.

Passiamo ora alla (poco) edificante lettura del decreto di espulsione:
Don Ferdinando e Dona Isabel, por la gracia de Dios, Rey y Reina de Castilla, de León, de Aragon, de Sicilia, de Granada, de Toledo, de Valencia, de Galicia, de Mallorca, de Sevilla, de Cerdena, de Corcega, de Muria, de Jahén, de los Argalves, de Algesiras, de Gibraltar, de las Islas de Canaria, conde e condesa de Barcelona e senores de Vizcaya, e de Molina, duques de Athenas y de Neopatria, condes de Ruisellón e de Cerdana, marqueses de Oristan y de Godano. 
Al principe don Juan, nostro figlio molto caro e molto amato, e agli infanti, prelati, duchi, marchesi, conti, maestri degli Ordini, priori, uomini ricchi, commendatori, governanti dei castelli e delle fortezze dei nostri regni e signorie; e ai consigli, potestà, governatori, ufficiali giudiziari, cavalieri, scudieri, ufficiali e uomini buoni della molto nobile e molto leale città di Toledo e delle altre città, villaggi e borghi del suo arcivescovato e degli altri arcivescovati e vescovati e diocesi dei detti nostri regni e signorie; e alle aljamas degli ebrei della detta città di Toledo e di tutte le dette città e villaggi e borghi del suo arcivescovato e di tutte le altre città e villaggi e borghi dei detti nostri regni e signorie, e a tutti gli ebrei e persone di questa stirpe, tanto uomini come donne, di qualsiasi età; e a tutte le altre persone, di qualsiasi legge, Stato, dignità, eccellenza e condizione, a chiunque il contenuto di questo atto lo riguardi o lo potrebbe riguardare in qualunque maniera, salute e grazie. 
Ben sapete o dovete sapere che, poiché siamo stati informati che in questi nostri regni c'erano alcuni cattivi cristiani che giudeizzavano e apostatavano la nostra santa fede cattolica, e che ciò era causato dalla comunicazione degli ebrei con i cristiani, nelle Cortes che abbiamo fatto nella città di Toledo l'anno passato 1480, abbiamo comandato che i detti ebrei fossero segregati in tutte le città, villaggi e borghi dove vivevano, sperando che con la loro segregazione si sarebbe rimediato; e inoltre abbiamo fatto in modo e dato ordine che si facesse Inquisizione nei detti nostri regni, la quale, come sapete è oltre dodici anni che si è fatta e si fa, e per questo si sono trovati molti colpevoli, come è noto; e secondo quanto siamo stati informati dagli inquisitori e da molte altre persone religiose ecclesiastiche e secolari, consta e appare il grande danno che ai cristiani gli ha arrecato e gli arreca la partecipazione, conversazione e comunicazione che hanno tenuto e tengono gli ebrei, i quali è provato che cercano sempre, in tutte le maniere e per tutte le vie che gli sono possibili, di sovvertire e sottrarre dalla nostra santa fede cattolica i fedeli cristiani, e da questa allontanarli e attrarli al loro dannato credo e opinione, istruendoli nelle cerimonie e osservanze della loro legge, riunendosi con loro, dove gli si legge e gli si insegna quello che devono credere e osservare secondo la loro legge, cercando di circoncidere loro e i loro figli, dandogli libri da cui poter recitare le loro orazioni, e dichiarando i digiuni che devono digiunare, riunendosi con loro a leggere e a insegnargli le storie della loro legge, notificandogli le pasque prima della data, avvisandoli di ciò che in quei giorni devono osservare e fare, dandogli e portandogli dalle loro case il pane non lievitato e carni [di animali] morte secondo le cerimonie, istruendoli sulle cose dalle quali si devono allontanare, così come nel cibarsi e nelle altre cose, in osservanza alla loro legge, persuadendoli come possono che conservino e osservino la legge di Mosè, dandogli ad intendere che non c'è altra legge ne verità salvo quella; questo tutto consta da molte dicerie e confessioni, tanto degli stessi ebrei, come di quelli che furono da loro corrotti e ingannati; il che ha arrecato gran danno, detrimento e ignominia alla nostra fede cattolica. 
E poiché è successo che da molte parti di questo siamo stati informati prima di ora, e abbiamo riconosciuto che il vero rimedio a tutti questi danni e inconvenienti era nell'impedire completamente la comunicazione dei detti ebrei con i cristiani e cacciarli da tutti i nostri regni e signorie, abbiamo voluto provare con l'ordine di espellerli da tutte le città e villaggi e borghi dell'Andalusia, dove sembrava che avevano fatto il maggior danno, confidando che ciò sarebbe bastato affinché gli altri delle altre città e villaggi e borghi dei nostri regni e signorie cessassero di fare e commettere quanto sopra detto; e poiché siamo stati informati che né questo, né le giustizie che si sono fatte in alcuni di questi ebrei, i quali sono stati trovati molto colpevoli in alcuni dei crimini e delitti contro la nostra santa fede cattolica, non bastano per rimediare per intero, per ovviare e rimediare affinché cessi tanto grande obbrobrio e offesa alla fede e alla religione cristiana, poiché ogni giorno accade e sembra che i detti ebrei perseverano nel continuare il loro cattivo e dannato proposito, dove vivono e tengono conversazioni, e affinché non ci sia più possibilità di offendere la nostra santa fede, tanto per quelli che Dio ha voluto conservare fino ad ora, come in quelli che caddero e si corressero e si ricondussero alla Santa Madre Chiesa, il che, data la debolezza della nostra umanità e astuzia e suggestione diabolica, che continuamente ci tenta, potrebbe succedere se la causa principale di questo non viene stroncata, che è cacciare i detti ebrei dai nostri regni e poiché quando un grave e detestabile crimine è commesso da qualcuno di qualche collegio e università, ciò è motivo affinché siano sciolti, dispersi e annichiliti e i minori per i maggiori e gli uni per gli altri vengono puniti, e quelli che attentano all'onesto e buon vivere delle città e villaggi e per contagio possono dannare gli altri siano espulsi dalle città, e anche per altre più lievi cause, che siano in danno della cosa pubblica, tanto più per i maggiori dei crimini e più pericoloso e contagioso, come lo è questo. 
Pertanto noi, con il consiglio e parere di alcuni prelati e grandi e cavalieri dei nostri regni e di altre persone di scienza e coscienza del nostro consiglio, avendoci pensato molto, siamo d'accordo nel comandare l'uscita di tutti gli ebrei ed ebree dai nostri regni e signorie, e che giammai tornino né facciano ritorno in essi né in nessuno di essi. E su questo comandiamo che venga reso noto questo nostro editto: per mezzo del quale comandiamo a tutti gli ebrei ed ebree, di qualsiasi età, che vivono e abitano e stiano nei detti nostri regni e signorie, tanto quelli che vi sono nati come quelli che non vi sono nati, che in qualsiasi maniera e per qualunque causa siano venuti e ci stiano, che fino al mese di luglio prossimo che viene in questo presente anno, escano tutti dai detti nostri regni e signorie, con i loro figli e figlie e domestici e domestiche e familiari ebrei, tanto grandi come piccoli, di qualsiasi età che siano, e che non osino ritornare, né di rimanerci in nessuna parte, né per viverci né di passaggio, né in alcuna altra maniera, sotto la pena che, se così non fanno e compiono, e fossero trovati dentro i nostri detti regni e signorie o in qualsiasi modo vi ritornano, incorrono nella pena di morte e confisca di tutti i loro beni per la nostra Camara e Fisco, e incorrano in queste pene per questo stesso fatto e detto, senza altro processo, sentenza, né dichiarazione. E comandiamo e imponiamo che nessuno né alcuna persona dei detti nostri regni, di qualsiasi stato, condizione o dignità che sia, osino ricevere, né dar rifugio, né accogliere, né proteggere, né tenere pubblicamente e segretamente, né ebreo né ebrea, passato il detto termine di luglio in avanti, per sempre, nelle loro terre, nelle loro case, né in nessuna altra parte dei detti nostri regni e signorie, sotto la pena della perdita di tutti i loro beni, feudi e fortezze e altri averi e di perdere inoltre qualsiasi mercede che gli spetta, a favore della nostra Camara e Fisco. 
E affinché i detti ebrei ed ebree possano, durante il detto tempo fino alla fine del detto mese di luglio, disporre di se e dei loro beni e attività, con la presente li prendiamo e riceviamo sotto la sicurezza e protezione reale, e proteggiamo loro e tutti i loro beni, affinché durante il detto tempo, fino al detto giorno del detto mese di luglio, possano girare e stare sicuri e possano vendere, scambiare e cedere tutti i loro beni, mobili e immobili, e disporre di essi liberamente secondo la loro volontà; e che durante il detto tempo non sia fatto alcun male, né danno, né alcuna ingiustizia, sulle loro persone, né sui loro beni contro giustizia, sotto le pene in cui cadono e incorrono coloro che infrangono la nostra protezione reale; e allo stesso tempo diamo licenza e facoltà ai detti ebrei ed ebree che possono portare fuori dai nostri regni e signorie i loro beni e averi, per mare e per terra, con tanto che non portino via oro, né argento, né moneta coniata, né le altre cose vietate dalla legge dei nostri regni, salvo merci, che non siano cose vietate o scambi. E inoltre ordiniamo a tutti i consigli, i tribunali, funzionari, cavalieri, scudieri, ufficiali e uomini buoni delle dette città e villaggi e borghi dei nostri regni e signorie, e a tutti i nostri vassalli, sudditi e loro parenti, di osservare e compiere e facciano osservare e compiere questa nostra disposizione e tutto ciò in essa contenuto, e diano aiuto e facciano tutto il possibile che per questo si renda necessario, sotto la pena della nostra mercede e della confisca di tutti i beni e attività per la nostra Camara e Fisco. 
E poiché questo possa essere reso noto a tutti e nessuno possa vantare ignoranza, ordiniamo che questo nostro editto venga bandito per le piazze e mercati e altri posti d'usanza in queste dette città, villaggi e borghi, da un banditore e davanti a uno scrivano pubblico. E né gli uni né gli altri non facciate né fate nient'altro, in nessuna maniera, sotto la pena della nostra mercede e della perdita dei loro incarichi e confisca dei beni di ognuno che farà il contrario. E in più comandiamo all'uomo che renderà a voi noto questo editto che vi citi a comparire davanti a noi in questa nostra corte, qualunque sia il posto dove staremo dal giorno in cui siete citati fino a quindici giorni dopo sotto la detta pena sotto la quale comandiamo a qualsiasi scrivano pubblico, che per questo è stato chiamato, che dia testimonianza, firmata con la sua firma affinché noi possiamo sapere in che modo si compie questo nostro mandato. Dato nella nostra città di Granada, al xxxv del mese di marzo anno della nascita di Nostro Salvatore Gesù Cristo, míllequattrocentonovantadue. 
Io il Re, lo la Regina, lo Juan de Coloma, segretario del Re e della Regina nostri signori, l'ho fatto scrivere dietro loro mandato.

martedì 14 aprile 2015

Israele è uno dei paesi meno religiosi del mondo

[1] Israel among the least religious countries in the world

L'articolo [1] dice che solo il 30% degli israeliani è religioso, e questo ne fa uno dei paesi meno religiosi del mondo.

La media mondiale è circa il 64%, quella dell'Europa occidentale il 43%. I giovani sono lievemente più religiosi degli anziani, ed i ricchi meno religiosi dei poveri.

Il paese più religioso al mondo sembra la Thailandia (94% di persone dichiaratamente religiose), il meno religioso la Cina (61% di atei convinti).

Tornando ad Israele, queste statistiche confermano che gli ebrei religiosi sono sovrarappresentati, e che essere ebrei senza essere religiosi è possibile e praticato.

Raffaele Yona Ladu

giovedì 9 aprile 2015

Sedersi vicino ad una donna che non è la propria moglie

[1] Aboard Flights, Conflicts Over Seat Assignments and Religion / By MICHAEL PAULSON. - New York Times, 9 APR 2015

L'articolo parla del fenomeno per cui molti ebrei ultraortodossi, quando viaggiano in aereo, pur di non sedersi accanto ad una donna che non è la propria moglie, chiedono alla donna in questione di cambiare posto.

Le reazioni sono varie, e le motivazioni di chi chiede e chi accetta o respinge sono esplorate nell'articolo: quello che mi pare opportuno citare è questa risposta di rav Avi Shafran (qui da me criticato per un'altra questione), che rappresenta Agudath Israel of America, un'organizzazione ultraortodossa di peso:
I rappresentanti degli ultraortodossi insistono che questo comportamento è anomalo e raro. "Penso che questo fenomeno non abbia affatto la prevalenza che fanno intendere alcuni resoconti dei media", ha detto rav Avi Shafran, direttore delle pubbliche relazioni di Agudath Israel of America, che rappresenta la comunità ultrartodossa. Rav Shafran ha notato che, ad onta delle leggi  religiose che vietano il contatto  fisico tra uomini ebrei e donne che non siano le loro mogli, molti uomini ultraortodossi seguono la direttiva di un eminente dotto ortodosso, rav Moshe Feinstein, che ha affermato che è accettabile per un uomo ebreo sedere vicino ad una donna nella metro od in un autobus, purché non ci sia l'intenzione di trarre gratificazione sessuale da un eventuale contatto.
Altre organizzazioni ebraiche contestano i numeri che suggerisce rav Safran, sostenendo che capita molto più spesso di come lascia intendere lui; quello che conta però è che non è un obbligo religioso per un ebreo sedere lontano da donne diverse dalla propria moglie, e che quindi, se lo accontentate, è solo un favore personale che gli fate.

Raffaele Yona Ladu

sabato 4 aprile 2015

Teologia jahwista e sacerdotale

[1] Nel racconto di Adamo ed Eva c'è il mito dell'androgino di Platone?

[2] Ravasi: tante donne succubi della "dittatura dell'estetica"

[3] Papa: "Teoria gender espressione di frustrazione che cancella differenze"

Il sito Aleteia : Cercatori della Verità ha fatto una cosa meritoria pubblicando la pagina [1], in cui si cita un'opera del celeberrimo teologo Gianfranco Ravasi sui due racconti della creazione dell'uomo che si trovano nella Bibbia ebraica.

Nulla da eccepire, salvo un lontano ricordo di gioventù, quando lessi il brano che al medesimo argomento aveva dedicato il catechismo per adulti della CEI "Signore da chi andremo"; quel brano spiegava che i due racconti della creazione facevano capo a due diverse teologie, e dava la preferenza alla teologia più antica, quella jahwista, in quanto il gioco di parole che si trova in Genesi 2:23:
E l’uomo disse: Questa finalmente è osso delle mie ossa, e carne della mia carne; questa deve chiamarsi Iscià [donna], poichè da Ish [uomo] fu tratta [Traduzione Shadal 1858]. 
lasciava intendere che uomo e donna avevano la medesima essenza e pari dignità - quindi la ricorrente accusa che fin dal principio il pensiero ebraico prima e la teologia cristiana poi dichiaravano le donne inferiori e subalterne all'uomo era infondata.

Questo fu pubblicato nel 1981, quando la chiesa cattolica si sentiva messa all'angolo dal movimento femminista, e doveva dimostrare che la rivendicazione delle donne alla parità non le era estranea.

Ravasi ripete quest'esposizione, in due brani di [1]; nel primo è scritto:
la narrazione di Gen 2, (...) sarebbe una rappresentazione simbolica della comune qualità umana dei due, tant'è vero che essi avrebbero un nome identico, declinato al maschile ('ish) e al femminile ('ishsàh), 
e nel secondo:
per la Genesi “non è bene che l'uomo sia solo” (2, 18), mentre la realtà “molto buona/bella” è che esistano i due sessi (1,31), la cui identità non è una maledizione, bensì una benedizione divina (1,28).
Invece la teologia sacerdotale, quella del primo racconto, viene così riassunta da Ravasi:
Si noti che l'autore sacro (la tradizione cosiddetta “Sacerdotale” del VI secolo a.C.) non usa i due termini socio-psicologici 'ish (uomo) e 'ishshàh (donna), presenti e spiegati nell'altro racconto del capitolo 2 (v. 23), bensì quelli fisiologici di zakàr, che allude all'organo sessuale maschile (alla lettera: “puntuto”), e di neqebàh, che è il parallelo femminile (alla lettera: “forata”), facendo quindi esplicito riferimento alla sessualità maschile e femminile.
Poiché il genere è un concetto "socio-psicologico", a dar retta a Ravasi, i "due termini socio-psicologici 'ish (uomo) e 'ishshàh (donna)" indicano il genere dei membri della prima coppia umana, mentre "zakàr" e "neqebàh" indicano esplicitamente il loro sesso.

Questo anche se Adamo dice che Eva si chiama "ishshàh" perché fisicamente tratta dall'"ish" - che la parola biblica "tzela'" significhi in questo contesto "fianco" (come la intendono il più delle volte gli ebrei) oppure "costola" (come sempre la intendono i cristiani), è poco rilevante.

Ravasi sembra voler conciliare le due teologie - quella jahwista della sostanziale identità in quanto comune umanità dei due generi maschile e femminile, e quella sacerdotale dell'irriducibile differenza sessuale e complementarietà della coppia umana come immagine di Dio.

L'obbiettivo sembra emergere anche nel link [2], che termina con questo brano:
R. – Sì, questo è vero, noi non abbiamo voluto affrontare in maniera diretta il tema del gender, per due ragioni: prima di tutto, perché i nostri incontri sono molto limitati nel tempo e anche perché, secondo questo gruppo di donne, quando si affrontano alcuni temi specifici, ci si dimentica di costruire prima il quadro generale. E’ necessario prima riflettere in maniera sistematica sulla ricerca di un equilibrio tra uguaglianza e differenza. Perché, per esempio, in passato dominava il modello della subordinazione – la subordinazione della donna all’uomo – un modello secolare, che non ha ancora esaurito tutti i suoi effetti perversi. Si sta superando anche il modello della pura e semplice parità: la parità dei diritti, applicata meccanicamente, – le “quote rosa” – che pure è una conquista. Si cerca ormai di andare oltre anche quell’uguaglianza assoluta, che era alla base del gender, per proporre un nuovo modello, che forse è quello – io direi – della reciprocità nell’equivalenza e nella differenza.
Parlare di "gender" non ha molto senso, per i motivi qui espressi, ma questa dichiarazione di Ravasi è molto più intelligente di molte che mi tocca leggere di questi tempi, e sarebbe un buon punto di partenza per un dialogo serio e non caricaturale.

Che la conciliazione sia non solo teoricamente attraente, ma anche opportuna praticamente, ce lo ha spiegato una mia amica ebrea ucraina in una conferenza pubblica (ne sono stati pubblicati i video [a] e [b]), che spiegava che in Russia nessuno pensa che ci siano mestieri maschili e mestieri femminili, perché durante il comunismo alle donne è stato fatto fare di tutto - anche sollevare pesi e lavorare in industrie chimiche con produzioni particolarmente dannose per la salute riproduttiva della donna.

La soluzione per me sarebbe stata quella di far sollevare i pesi alle gru (chiunque può azionarle) ed aumentare le misure di protezione nell'industria chimica (l'idea che il sesso maschile sia sacrificabile mi dà fastidio); per la mia amica era distinguere gli ambiti in cui la differenza sessuale era irrilevante da quelli in cui era essenziale - su questo potrei anche essere d'accordo, e conciliare così le due teologie.

Purtroppo, non tutti i cattolici sono capaci di tanto (e di quello che sa fare Ravasi), e si sentono obbligati a scegliere; se al momento della pubblicazione del catechismo "Signore da chi andremo" si dava la precedenza alla teologia jahwista, ora le persone che hanno adottato lo slogan della lotta all'"ideologia del gender" si dimostrano acritiche sostenitrici della teologia sacerdotale.

Mettiamo ora le cose in chiaro: che una persona possa decidere con un atto di volontà se essere maschio o femmina è una grande sciocchezza che nessuno cerca più di sostenere - certo non l'ebrea lesbica Judith Butler, a giudicare da questo brano pubblicato nel lontano 1993 e che mi sono premurato di tradurre, e non certo le associazioni di persone trans, che prima di proporre a psicologi, endocrinologi, chirurghi, avvocati e giudici una persona da far "transizionare" la valutano con molta attenzione.

Lo slogan "ideologia del gender", se va preso sul serio, non ha quindi come bersaglio le persone non eteronormative, esterne magari alla chiesa cattolica, bensì coloro che sostengono una teologia che non si rifà esclusivamente a quella sacerdotale. 

Giustamente Ravasi osserva che lo jahwista concepisce la donna come aiuto degno dell'uomo, con cui egli deve confrontarsi ("'ézer kenegdò") - non solo e non principalmente come partner sessuale; e se la sua osservazione secondo cui "ish" ed "ishshàh" rappresentano i generi, più che i sessi, è corretta (l'uso postbiblico sembra confermarla, anche se in ebraico contemporaneo si preferisce dire "gever" [letteralmente, "eroe"] anziché "ish"), questo significa che per lo jahwista è la società umana a stabilire i modi e le forme della cooperazione tra le persone, non l'anatomia (e la fisiologia) che tanto preoccupano il sacerdotale.

Ed il sacerdotale, nel suo racconto della creazione ed in altri brani del Pentateuco a lui attribuibili, codifica non solo l'irriducibile diversità, ma anche l'inferiorità della donna. La lotta tra gli epigoni delle teologie jahwista e sacerdotale ha per posta in gioco il ruolo della donna (paritario o subalterno, fisso o flessibile) nella chiesa e nella società.

E sembra proprio che la chiesa cattolica non sia più interessata a dimostrarsi sostenitrice della parità dei sessi e/o generi, ma voglia incasellarli in ruoli predefiniti; credo che il punto di svolta si possa rintracciare nella Lettera Apostolica Ordinatio Sacerdotalis, pubblicata il 22 Maggio 1994 da Giovanni Paolo 2°, che nega alle donne il sacramento dell'Ordine.

A lume di logica, dichiarare una singola persona priva della vocazione al sacerdozio non vuol dire dichiararla inferiore alle altre; quando però l'esclusione tocca un'intera categoria di persone, più della metà dei battezzati, non si può più sostenere che a tutte loro manca la vocazione intesa come chiamata individuale (è statisticamente improbabile) - occorre trovare una giustificazione metafisica per questo, e la presta una teologia simil-sacerdotale.

E quello che è peggio è che la metafisica non si accontenta di dire: "Questa è la nostra fede, la fede della Chiesa, e noi confidiamo in essa"; pretende di formulare un ragionamento valido in ogni tempo e luogo, e quello che poteva essere tollerabile come regola interna di una confessione religiosa diventa un'intollerabile interferenza nella vita sociale quando si pretende che il costume e la legislazione le si uniformino.

In teoria, le persone omosessuali e transessuali non mettono in discussione la differenza sessuale - nella misura in cui una persona desidera persone di un sesso ben determinato, oppure desidera avere il corpo di un sesso ben determinato, anche se diverso da quello attribuitole alla nascita, mostra di considerare la differenza sessuale fondamentale.

Vengono però attaccate in quanto mettono comunque in discussione la coerenza di corpo, genere e desiderio su cui (Judith Butler insegna) si basa l'eteronormatività: una coppia umana che sia l'immagine di Dio secondo gli esegeti cattolici (non quelli ebrei!) non si può costituire se manca codesta coerenza.

Più serio problema lo pongono la pansessualità ed il transgenderismo: la persona transgender dissocia la propria identità di genere dal proprio sesso corporeo, e non vuole riunificarli; il pansessuale si rifiuta di scegliere chi amare sulla base del sesso o del genere.

Il bisessuale sconvolge la "matrice eterosessuale" in modo assai variabile - l'esempio che meglio conosco, la persona a me più cara al mondo, ha amato ed ama persone che svolgono un ruolo di genere maschile, ma trova irrilevante il loro sesso corporeo. Questo è compatibile con la definizione di bisessualità, ma non certo con l'eteronormatività; volendo è un'ulteriore dimostrazione di come la sessualità femminile badi poco al corpo e molto al comportamento.

Bisessuali, pansessuali, transgender ed altri antibinari (come gli intersessuali, che però sono antibinari loro malgrado) sono compatibili con una teologia di tipo jahwista, in cui (per usare categorie aristoteliche) l'essenza di ogni persona è l'umanità, ed il genere ed il sesso sono degli attributi, ma non con una di tipo sacerdotale; non tocca a me dirimere i contrasti tra teologie cattoliche - mi piacerebbe però che non facessero vittime tra le persone che non vogliono uniformarsi ad esse.

Per giunta, è utile osservare che nel racconto jahwista gli "attributi" si manifestano successivamente all'"essenza": prima si crea "Adàm = l'essere umano", e da lui poi si estrae "ishshàh = la donna", che verrà poi chiamata "Chavà = Eva = Vita" - solo allora "Adàm = Adamo" può riconoscersi come "ish = l'uomo".

Ed infatti, delle 2006 volte in cui nella Bibbia ebraica compare la parola "ish = uomo", la prima è proprio in Genesi 2:23; è vero che il libro è appena cominciato, ma non avrebbe avuto senso usare prima quella parola! Allo stesso modo, delle 781 volte in cui nella Bibbia ebraica compare la parola "ishshah = donna", la prima è in Genesi 2:22, cioè nel versetto immediatamente precedente - prima si estrae Eva da Adamo, poi lui può rendersi conto di essere un uomo.

La locuzione "ideologia del gender" è una caricatura che descrive meglio la teologia jahwista (in cui prima appare l'essere umano, e poi da esso viene separato il genere femminile, cosa che permette di individuare quello maschile) delle teorie queer che si rifanno a Judith Butler.

Per lei infatti, non è concepibile un soggetto privo di genere, o per il quale il genere sia solo opzionale (ripassate qui), mentre in Genesi 2 lo jahwista dice [Traduzione Shadal 1872 - qui purtroppo dimostra tutti i suoi anni]:
7 Il Signore Iddio formò l’uomo di terra (presa) dal terreno, ed inspirò nella faccia sua respirazione vitale: così l’uomo divenne un animale vivente.
(...)
15 Il Signore Iddio prese l’uomo, e lo collocò nel giardino di Eden, a coltivarlo e custodirlo.
16 Il Signore Iddio comandò all’uomo con dire: Di tutti gli alberi del giardino puoi mangiare.
17 Ma dell’albero del discernere il bene ed il male non mangiare; perocchè qualora tu ne mangi devi morire.
18 Il Signore Iddio disse: Non è bene che l’uomo sia solo: voglio fargli un aiuto analogo a lui.
19 Il Signore Iddio avendo formato dalla terra tutte le bestie selvagge, e tutti i volatili del cielo, li recò all’uomo, perché decidesse come avesse a nominarli; e quella qualunque denominazione che l’uomo imponesse a ciaschedun essere vivente, quella fosse il suo nome.
20 L’uomo impose nomi a tutte le bestie ed ai volatili del cielo, come pure a tutte le fiere selvagge; ma per Adamo non trovò alcun ajuto analogo a lui.
Ovvero, prima ancora che sia possibile individuare nell'essere umano una differenza di genere e/o di sesso, questi è già capace di fare codeste cose - e se si rende conto che tra gli animali non c'è "alcun ajuto analogo a lui", vuol dire che un minimo di autocoscienza ce l'ha!

Come ho detto, qui non siamo di fronte ad una lotta della chiesa cattolica contro il mondo contemporaneo, ma della chiesa contro se stessa. Se volesse arrivare fino in fondo, essa dovrebbe ripudiare come spurio Galati 3:28  [Nuova Riveduta - commento riformato ed altre traduzioni qui]:
Non c'è qui né Giudeo né Greco; non c'è né schiavo né libero; non c'è né maschio né femmina; perché voi tutti siete uno in Cristo Gesù.
Si interpreta usualmente che l'abolizione di queste differenze si ha soltanto nell'ambito spirituale, mentre nella vita terrena codeste differenze continuano ad avere il loro ruolo. Ma chi interpreta Genesi 1:27 come l'indicazione che già nel piano divino maschio e femmina sono irriducibilmente diversi smentisce quest'interpretazione, in quanto rifiuta la possibilità che ci sia mai un ambito in cui uomo e donna siano semplicemente umani, come affermato da Paolo.

A complicare le cose, se ci sono lettere pseudopaoline, quella ai Galati viene unanimemente ritenuta autentica - non si può quindi trattare Galati 3:28 come si tratta Efesini 5:22-24 [Nuova Riveduta - commento riformato ed altre traduzioni qui]:
22 Mogli, siate sottomesse ai vostri mariti, come al Signore; 
23 il marito infatti è capo della moglie, come anche Cristo è capo della chiesa, lui, che è il Salvatore del corpo. 
24 Ora come la chiesa è sottomessa a Cristo, così anche le mogli devono essere sottomesse ai loro mariti in ogni cosa.
in quanto brano di una lettera che molti studiosi ritengono appunto "pseudopaolina".

Il 15 Aprile 2015 ho aggiunto il link [3], per osservare che non c'è un problema di frustrazione all'interno delle organizzazioni LGBT per l'incapacità di gestire la differenza sessuale, ma, come ho mostrato prima, di caccia alle streghe all'interno dell'organizzazione di cui papa Francesco è a capo.

Tra parentesi, non è necessario interpretare la Torah in modo eteronormativo: molti ebrei (anche il rabbino ortodosso Shmuley Boteach, che pure ho qui criticato) dicono che Genesi 2:28:
Il Signore Iddio disse: Non è bene che l’uomo sia solo: voglio fargli un aiuto analogo a lui. 
non vale solo per le coppie eterosessuali - anche in una coppia omosessuale l'uno è l'aiuto dell'altro.

E mi è capitato di trovare un'interpretazione della qabbalah esplicitamente bisessuale (ne ho parlato qui), il che mi permette di ritenere l'ebraismo meno eteronormativo del cristianesimo.

Raffaele Yona Ladu



Nota etimologica: non essendo un ebraista di professione, per verificare le considerazioni etimologiche di Gianfranco Ravasi ho dovuto leggere (acriticamente!) A COMPREHENSIVE ETYMOLOGICAL DICTIONARY OF THE HEBREW LANGUAGE FOR READERS OF ENGLISH / Ernest Klein.

Questo dizionario conferma quello che Ravasi dice dei termini "zakàr = maschio" e "neqebàh = femmina"; invece afferma che le parole "ish = uomo" ed "ishshàh = donna" non sono imparentate tra loro, e nemmeno con "énosh", parola che nella Bibbia è un nome proprio, e nell'ebraico postbiblico indica l'appartenente all'umanità.

Per quanto riguarda la parola "tzela'", che è talvolta campo di battaglia tra apologeti ebrei e cristiani (e tra i protagonisti del film Yentl, con Anshel/Yentl che sostiene che la parola significa "fianco", ed Avigdor invece che propende per "costola"), a proposito del significato che ha in Genesi 2:21-22, questo dizionario registra ambo i significati ("costola" e "fianco, lato"), ma documenta anche come quello propriamente etimologico sia il primo.

Shadal, ebreo tuttora stimatissimo, nel 1872 ne aveva preso atto:
21 Il Signore Iddio fece cadere sopra l’uomo un sopore, sicchè dormì; ed egli prese una delle sue coste, e ne chiuse il sito con carne.
22 Il Signore Iddio costrusse, della costa che prese dall’uomo, una donna; e la recò all’uomo.
Ed infatti il Midrash Genesi Rabbah 17 interpreta la parola come costola (vedi qui).