sabato 9 aprile 2016

Bozza per il 16 Aprile 2016

Brukhim habaim – Benvenuti.

Il mio nome è Raffaele Ladu, ho una laurea quinquennale in Psicologia Generale e Sperimentale, sono iscritto alla Society for Humanistic Judaism con il nome Yona, che significa in ebraico “colomba”, ho una moglie che verrà confermata valdese il prossimo 15 Maggio, studio con piacere alla Facoltà di Teologia Valdese di Roma, e voglio parlare di come religione non sempre voglia dire cissessismo ed eterosessismo.

Cissessismo è il volere che l’identità di genere di una persona coincida per forza con il sesso attribuitole alla nascita; eterosessismo è ritenere l’eterosessualità superiore all’omosessualità ed alla bisessualità. Queste concezioni vengono normalmente giustificate da una lettura acritica del testo biblico, e voglio mostrare che il Tana”kh, ovvero la Bibbia ebraica, non è necessario interpretarlo così.

La prima cosa da notare è che già 700-1000 anni prima della nostra era, la fonte yahwista del Pentateuco distingueva il sesso dal genere.

Quando la Bibbia distingue i maschi dalle femmine sulla base della loro biologia, usa i termini “zakhar” e “neqevah” - il primo significa letteralmente “puntuto”, il secondo “fessurata”; quando distingue gli uomini dalle donne sulla base dei ruoli sociali e degli atteggiamenti psicologici, usa i termini “ish” ed “ishshah” – il primo significa “uomo” ed il secondo “donna”. Rifiutarsi di usare la nozione di “genere” significa condannarsi all’incapacità di comprendere la Bibbia, per cominciare.

Del cissessismo non fa solo parte il voler far coincidere il genere con il sesso – fa parte anche il dividere maschi e femmine in modo binario, come se mascolinità e femminilità fossero due scatole, ed ogni essere umano dovesse essere per forza gettato in una di esse; e di solito si giustifica il binarismo dei sessi e dei generi con Genesi 1:27, “Maschio e femmina Dio li creò” – qui vengono usati i termini “zakhar” e “neqevah”.

Ora, Mosé Maimonide spiegava nella “Guida dei Perplessi” che la Bibbia va interpretata letteralmente a meno che il significato letterale non sia irragionevole o non sia stato provato falso. La Bibbia non può quindi smentire né le scienze naturali né le scienze umane – sono loro semmai a stabilire se un passo biblico va interpretato in modo letterale oppure metaforico.

Già i tannaiti, gli autori della Mishnah, messa per iscritto un secolo dopo la morte di Gesù, distinguevano quattro generi di intersessuali:
  • il “saris”, ovvero la persona assegnata al sesso maschile alla nascita, che però crescendo non matura caratteri secondari maschili, magari ne matura di femminili, e si teme che sia sterile;
  • l’“aylonit”, ovvero la persona assegnata alla nascita al sesso femminile, che però crescendo non matura caratteri secondari femminili, magari ne matura di maschili, e si teme che sia sterile;
  • il “tumtum”, che nasce senza organi genitali evidenti, e non si può perciò assegnare con sicurezza ad un sesso o ad un altro;
  • l’“androginos”, ovvero la persona che al contrario mostra organi genitali pertinenti ad ambo i sessi, e perciò neppure essa può essere assegnata ad un sesso con sicurezza.
La cornice di riferimento dei rabbini è sempre binaria, ma queste categorie di persone impongono loro di chiedersi: fino a che punto queste persone sono di genere maschile, ovvero incombono su di loro i doveri che la società ebraica impone solo agli uomini, e fino a che punto sono di genere femminile?

Il “saris” e l’“aylonit” sono considerati rispettivamente uomo e donna, salvo che il timore che siano sterili ne limita la capacità matrimoniale; infatti, se nella generalità dei matrimoni ebraici è più importante l'unione coniugale della fecondità coniugale, e perciò, checché ne dicesse il film "Kadosh", una coppia può continuare tranquillamente a rimanere sposata anche in mancanza di figli, in alcuni casi, come nel matrimonio di levirato, la prole è lo scopo primario del matrimonio, e le persone di cui si teme siano sterili (come il “saris” e l’“aylonit”) ne sono dispensate.

Più difficile è la posizione del “tumtum” e dell’“androginos” Per non farla troppo lunga, riassumo dicendo che la posizione prevalente è che, ogni volta che la legge ebraica (ortodossa!) impone doveri diversi ad uomini e donne, si sceglie la norma più rigorosa, che di solito è quella maschile. In questo caso infatti è considerato più grave che una persona manchi al proprio dovere che essa faccia una cosa inutile.

Ma questo significa che la distinzione dei generi non si ancora più alla distinzione dei sessi, e che ritenere una persona soggetta o meno ad un obbligo in questi casi non è più legato al genere attribuitole. Le persone ebree trans non perdono occasione di ricordarlo ai loro rabbini ed alle loro rabbine.

Potrei citare il caso degli intersessuali come li considera la medicina occidentale moderna, che ritiene che siano l’1,7% dei nati vivi, per mostrare che leggere Genesi 1:27 come la prescrizione del binarismo dei sessi, e pretendere poi di interpretarlo in modo letterale, ci cacci in un vicolo cieco, ma vi voglio offrire una scappatoia.

Una figura comune nella Bibbia ebraica è il “merismo”, ovvero rappresentare uno spettro di possibilità con i due estremi. Prendiamo ad esempio Isaia 45:7: “Io formo la luce, creo le tenebre; faccio la pace, creo il male; io, il SIGNORE, sono colui che fa tutte queste cose.”

Dio non crea solo la luce abbagliante del sole ed il buio di un’eclisse totale; non crea solo la pace universale ed il male assoluto – fa anche tutte le gradazioni intermedie.

Ed in Genesi 1 è scritto sei volte: “E fu sera e fu mattina …”. Ovviamente, questo non vuol dire che in quella fatidica settimana non esistessero il crepuscolo e l’aurora, il mezzogiorno e la mezzanotte – la sera e la mattina sono stati presi come gli estremi del giorno e della notte.

Diventa lecito a questo punto interpretare “Maschio e femmina Dio li creò” come un merismo, che fa dei due termini gli estremi di uno spettro che comprende molte posizioni intermedie tra la mascolinità e la femminilità cisgender. Dio, sia per la Qabbalah che per la teologia cristiana, ha aspetti maschili e femminili, degni di un uomo e di una donna. Ritenere che chi non rientra nel binarismo dei sessi e dei generi non sia a sua immagine, o rifiuti di essere a sua immagine, vuol dire fargli torto.

Colei che interpreta “maschio e femmina” come un merismo è una rabbina riformata, Margaret Moers Wenig; ma che l’interpretazione binaria e pedestremente letterale di Genesi 1:27 fosse insostenibile lo sapeva anche un rabbino ortodosso molto stimato, Joseph Ber Soloveitchik (1903-1993), detto “Ha-Rav”, cioè il rabbino per antonomasia.

Questi scrisse: “I principi della creatività e della recettività, dell'agire e del subire, dello stimolare e dell'assorbire, dell'aggressività e della tolleranza, dell'iniziare e del completare, dell'emanazione illimitata di un essere trascendente e della misurata riflessione del cosmo, sono ritratti dal motivo duale della mascolinità e della femminilità all'interno della nostra esperienza religiosa ... La trascendenza incondizionata, creativa, infinita, e l'immanenza autocondizionata, ricettiva e finita di Dio sono simbolizzati dalla mascolinità e dalla femminilità.”

Come vedete, siamo di fronte ad una lettura allegorica, che presume che quella letterale del brano si sia dimostrata impraticabile – ed alcune di queste coppie di opposti sono gli estremi di uno spettro, non categorie mutuamente esclusive.

Va detto inoltre che sia nel testo ebraico che in quello greco di Genesi 2, le parole usate per designare l'essere umano creato da Dio sono "Adam" ed "Anthropos", che indicano entrambe l'essere umano inteso facendo astrazione dal genere o dal sesso.

La differenza sessuale non esisteva ancora, secondo l'autore biblico. È solo dopo che Dio ha estratto la "ishshah = gyne = donna" dall'"adam = anthropos = essere umano", che Adamo, ora nome proprio e non più comune, si rende conto di essere un "ish = aner = uomo".

Se l'autore di 1 Timoteo 2:13 (chiedo scusa per la punta polemica) dice che fu formato prima Adamo e poi Eva, vediamo che nella Bibbia appare prima la parola "donna" della parola "uomo". E gli ebrei hanno inteso il racconto di Genesi 2 come la dimostrazione che Adamo, prima che da lui venisse estratta Eva, era un essere androgino, a cui la differenza sessuale era sconosciuta.

Va ricordato infatti che in ebraico la parola "tzela'" non significa solo "costola", ma anche "lato", di un oggetto, di una stanza, di un palazzo. Se la filologia conferma che il significato più probabile in Genesi 2 è proprio di "costola", il secondo significato della parola ha autorizzato gli ebrei a comporre numerosi midrashim che hanno per tema l'androginia di Adamo, e di Dio, alla cui immagine fu foggiato Adamo.

Dio infatti non avrebbe semplicemente estratto una costola, ma tagliato Adamo in due parti uguali per separare la donna dall'uomo e creare l'aiuto che potesse stargli di fronte, e tenergli testa se del caso.

Dopo aver smentito che la Bibbia prescriva il cissessismo, sistemo l’eterosessismo – ed è una cosa molto più facile.

Nella Bibbia ebraica solo due brani, dal libro del Levitico, si occupano dei rapporti omosessuali, e per giunta solo tra maschietti. Infatti, se il divieto di rapporti omosessuali tra uomini è considerato una norma biblica, quello di rapporti omosessuali tra donne è considerato una norma rabbinica. I primi fanno rischiare la lapidazione, i secondi quaranta frustate (o meglio, trentanove, perché i rabbini temono che il boia sbagli il conto commettendo così un'ingiustizia). Qualche volta, le signore sono più fortunate.

Qualcuno mi dirà: “E la storia di Sodoma e Gomorra che si trova in Genesi 19?” Rispondo che ci ha già pensato Ezechiele 16:49 a precisare che: “Ecco, questa fu l'iniquità di Sodoma, tua sorella: lei e le sue figlie vivevano nell'orgoglio, nell'abbondanza del pane, e nell'ozio indolente; ma non sostenevano la mano dell'afflitto e del povero.”

Non solo: da buon ebreo, non credo che Gesù fosse Dio incarnato. Riconosco però che era un uomo eccezionale, che ragionava bene e parlava meglio. Quando in Marco 10 e Luca 10 egli minaccia una sorte peggiore di Sodoma, lo fa alle città che si rifiuteranno di dare ospitalità agli inviati del Signore, non alle città in cui si fanno cose insolite. Gesù ed i suoi interlocutori (che non avrebbero altrimenti capito l’allusione) concordano qui con Ezechiele, e con gli ebrei di oggi e di tutte le denominazioni, cioè che il peccato dei sodomiti era rifiutare l’ospitalità agli stranieri poveri.

Per spiegarmi meglio vi riassumo un midrash che ricama su Genesi 18:20: “Il SIGNORE disse: «Siccome il grido che sale da Sodoma e Gomorra è grande e siccome il loro peccato è molto grave …”

Da dove nasceva il grido? Di quale peccato si trattava?

Secondo il midrash, nella città di Sodoma era vietato, vietatissimo, cosa da supplizio capitale con atroci tormenti, dare l’elemosina!

Una cosa incredibile, che agli occhi di un ebreo era la quintessenza dell’assurdità, vietare di aiutare il prossimo – eppure il consiglio cittadino di Sodoma era arrivato a questo!

Purtroppo una servetta che era andata a comprare della farina per i suoi padroni si impietosì e ne diede un po’ ad un mendicante.

Fu vista, denunciata, processata, condannata ed … impalata.

Fu il grido di lei che agonizzava a convincere l’Eterno che si era colmata la misura e che non si poteva più avere pazienza con i sodomiti.

Ci sono altri midrash simili – che dimostrano che i rabbini considerano Sodoma la sentina di ogni vizio, l’esempio negativo che nessun ebreo deve imitare, ma il sesso non c’entra nulla con questo.

Dal midrash posso passare ad un aneddoto. Uno dei più famosi rabbini della storia si chiamava Elia Zalman figlio di Salomone (1720-1797), detto “il Gaon [genio] di Vilna [in Lituania]”.

Un giorno il consiglio della comunità ebraica di Vilna gli chiese come fare per ridurre l’afflusso di poveri nella città, che drenava le risorse della comunità.

Il rabbino rispose: “E lo chiedete a me come fare? Andate a leggere come facevano i sodomiti!” Nessuno tirò più fuori l’argomento e la comunità si rassegnò ad accogliere, accogliere, accogliere.

Mi chiederete: “Ma i sodomiti volevano davvero stuprare gli angeli mandati in ricognizione oppure no?”

Certo, ma faceva parte di una strategia di mobbing ante litteram verso gli stranieri poveri. Nelle forme peggiori, il mobbing, anche sul lavoro, assume la forma dell’aggressione sessuale.

I sodomiti la libido non sapevano cos’era. Il loro vizio capitale, per usare una terminologia impropria, era l’avarizia, non la lussuria. Mi spiace per Dante, che ha frainteso anche lui.

Possiamo ora passare al libro del Levitico. Il passo più citato è Levitico 18:22: “Ed il maschio non farai giacere come giace una donna – è cosa indegna”.

La parola “to’evah”, che normalmente si traduce con “abominio” ed io ho tradotto con “cosa indegna”, indica semplicemente una cosa che gli israeliti si erano impegnati a non fare al momento di stipulare il patto del Sinai.

“To’evah” infatti non si applica solo alle trasgressioni sessuali, ma anche al mangiare cibo traif, cioè non-kasher, ed alla profanazione del sabato.

Va ricordato che gli ebrei non vogliono che una persona rispetti completamente il sabato finché non si è formalmente convertita all’ebraismo – perché il sabato è un patto eterno tra Dio ed Israele, e non riguarda i gentili.

Quindi, la parola “to’evah” non ha niente a che fare con l’etica, non indica alcun divieto universalmente valido, ma semplicemente una cosa incompatibile con il patto del Sinai.

Inoltre, siamo sicuri che Levitico 18:22 e Levitico 20:13 proibiscano specificamente i rapporti omosessuali?

Un'opinone diffusa è che, essendo assai diffusa in Terra di Canaan la prostituzione sacra, che impiegava uomini e donne, il comportamento descritto in quei due passi del Levitico facesse parte del rituale di questi templi/bordelli, ovviamente dedicati a divinità diverse da Colui che aveva tratto Israele dall'Egitto.

Sarebbe l’idolatria ad essere condannata qui, non il rapporto omosessuale.

Il rabbino Steven Greenberg, ortodosso e dichiaratamente gay, esaminando il testo di Levitico 18:22 (l'ho tradotto avvalendomi dei suoi suggerimenti), osserva che non descrive un rapporto in cui vi sono amore, devozione ed appagamento reciproci, ma un rapporto in cui un uomo stupra un altro uomo, e la cosa grave non è solo la violenza che gli infligge, ma anche il costringerlo ad un ruolo sessuale femminile.

E se due uomini si fossero amati in modo diverso da quello immaginato dagli autori biblici? Credo che la risposta ce la dia il fondatore del cristianesimo, che in Matteo 8 e Luca 7 guarisce il “giovinetto” schiavo di un centurione romano, che lo aveva molto caro.

Ora, chiunque abbia studiato istituzioni di diritto romano sa che i romani erano ferocissimi con i loro schiavi, a meno che una loro dote peculiare non li rendesse preziosi.

Di solito la peculiarità era professionale: un abile artigiano, un fine letterato, un gran lavoratore salivano nella stima del loro padrone.

Ma che peculiarità poteva avere un ragazzino per essere prezioso agli occhi del suo padrone, tanto da invocare per lui l’aiuto di un illustre guaritore quale era Gesù?

Chiunque avrebbe fatto due più due – ed era una situazione del tutto imprevista dagli autori biblici, che non avrebbero trovato parole per condannarla.

Non eravamo di fronte al classico schiavista che esige dai suoi schiavi e dalle sue schiave di obbedirgli anche a letto – un uomo così avrebbe trovato facilmente centinaia di cloni di quel ragazzino.

Tra il centurione ed il ragazzino era nato qualcosa – e non c’era bisogno di chiamarsi Gesù per capirlo.

Si trattava di una coppia fedele, nel senso che il diritto civile italiano attribuisce alla fedeltà coniugale – che non si limita alla monogamia, ma implica il poter contare l’uno sull’altro, il sapere che l’altro ti sarà sempre vicino e farà tutto per te.

Luca aggiunge l’interessante dettaglio che il centurione era molto amico della comunità ebraica (anzi, del villaggio) di Cafarnao, tanto è vero che aveva costruito la loro sinagoga.

E che sono gli anziani della comunità a chiedere a Gesù di guarire il suo servo – nessuno di loro obietta alla situazione, anche se con ogni probabilità il centurione intendeva convertirsi all’ebraismo ed adottare il loro sistema di valori.

E nemmeno Gesù ha niente da ridire, anzi dice che in tutto Israele non aveva trovato una fede grande come quella del centurione!

Tutto questo non ha impedito che nella storia ebraica si siano emanate norme contro i rapporti omosessuali, con un’interessante peculiarità rispetto a molte confessioni cristiane.

Infatti la dicotomia paolina “secondo natura/contro natura” non ha alcuna base nella Bibbia ebraica. Viene dalla filosofia greca, che, da Platone in poi, era convinta che ogni essere avesse una “natura” che lo reggesse, per cui conformarsi a questa natura era bene, andarle contro male.

Per gli ebrei l’essere umano invece non deve seguire la propria natura, bensì trascenderla, e la circoncisione simboleggia anche questo: Dio non ha creato un mondo perfetto, ma uno che tocca all’uomo perfezionare – e questo vale anche per la propria natura (il gioco di parole spinto è involontario – del resto, in ebraico non c’è).

Nello stesso Midrash Tanchuma in cui rav 'Aqiva dà questo significato alla circoncisione, egli afferma anche che le opere dell’uomo sono migliori di quelle di Dio, nell’ambito che Dio ha affidato all’uomo: sulla Terra Dio crea le spighe, e l’uomo il pane; Dio crea il lino e l’uomo le vesti.

Questo non perché Dio non possa fare come e meglio dell’uomo, ma perché vuole che l’uomo perfezioni il mondo. Quest’operazione si chiama “tiqqun ‘olam”, ed è lo scopo di molte organizzazioni ebraiche che operano per la giustizia sociale.

Potete perciò sentir dire da un ebreo qualsiasi cosa contro i rapporti omosessuali, e contro la transessualità, ma non che sono cose contro natura. Le eccezioni sono rare, e la più nota è quella di Giuseppe Flavio, che in "Contro Apione, II, 199", disse che l'unico rapporto sessuale consentito dalla Legge era quello "secondo natura" con una donna.

Ma l'opera di Giuseppe Flavio intendeva confutare l'antisemitismo di Apione mostrando quanto fosse invece moralmente eccellente l'ebraismo anche agli occhi dei filosofi pagani - questo ha motivato la scorciatoia che è stata il mutuare un'espressione greca per descrivere come veniva intesa una norma biblica.

Sono inoltre obbligato ad osservare che l'appello ad accettare il corpo con cui si è nati, che si ritrova nelle ultime encicliche papali, come "Laudato Si'" ed "Amoris Laetitia", somiglia molto all'argomento che il citato midrash mette in bocca all'avversario dialettico di rav 'Aqiva, ovvero che ciò che Dio vuole che l'uomo sia è il corpo che gli offre alla nascita.

Nel midrash l'argomento non viene attribuito a persone che si basano sulla Bibbia, ma la interpretano diversamente dai farisei, bensì a sostenitori dell'ethos ellenistico in generale e della filosofia stoica in particolare - per le quali il corpo umano è il canone della perfezione, e guai ad alterarlo.

Le chiese cristiane stanno cercando di uscire dalla prigione in cui le ha rinchiuse la filosofia greca, ma credo che finora siano riuscite solo a cambiare cella.

Altra interessante peculiarità è che le norme bibliche vietano, nell'interpretazione tradizionale, solo i rapporti sessuali tra uomini, non i sentimenti amorosi tra gli uomini.

La storia biblica di Davide e Gionata ha da duemilacinquecento anni almeno attirato l'attenzione ed attizzato le fantasie delle persone omosessuali, e la critica biblica moderna (ringrazio la pastora Laura Testa per avermelo comunicato) ha mostrato che è ricalcata sull'epopea di Gilgamesh ed Enkidu, in cui la componente omoerotica è ben più evidente.

Ma nella Bibbia non si dà la prova provata che i due uomini siano mai stati a letto insieme, ed il lettore può perciò ammirarli senza sentirsi in colpa; nel Talmud c'è una storia ancora più conturbante, tra Rav Yochanan e Resh Lakish.

Anche qui siamo di fronte ad un uomo tenebroso (Resh Lakish come Davide) che si innamora di un uomo molto bello (Rav Yochanan come Gionata), e cambia per lui la sua vita - da brigante diventa uno dei rabbini più famosi della sua epoca, e non si accontenta di essere il compagno di studi di Yochanan, che viene da lui deliziosamente messo tutti i giorni alla prova per aguzzarne l'ingegno; sposa anche sua sorella, allo stesso modo in cui Davide aveva sposato Micol, figlia di Saul e sorella di Gionata, consolidando così il rapporto oltremisura.

Una variante di questo stratagemma la troviamo nel "Dybbuk", opera teatrale del 1916, divenuta film nel 1937, in cui i due protagonisti non sposano l'uno la sorella dell'altro, ma promettono di sposare i figli tra loro. La legge religiosa ebraica vieta di promettere cose future, e questa violazione, non il sentimento omoerotico tra i protagonisti, mette in moto il terrificante intreccio dell'opera. Tenete in mente, quando guardate il film, che l'opera teatrale fu pubblicata l'anno dopo la pubblicazione da parte di Albert Einstein della Teoria della Relatività Generale, ed il film prodotto l'anno prima della scoperta della fissione nucleare da parte del gruppo di Otto Hahn e Lise Meitner. 

In ogni caso, non si hanno notizie di condanne capitali per rapporti omosessuali inflitte da tribunali ebraici - anche e soprattutto perché i rabbini avevano deciso di abolire la pena capitale già un secolo dopo Gesù. Non potendo stralciare i passi biblici che la comminavano, lavorarono sui requisiti della prova.

Per mettere a morte qualcuno, stabilirono che ci volevano due testimoni (maschi - grunt!) che dovevano aver visto l'imputato nell'imminenza di compiere il crimine, averlo avvertito che stava per compiere cosa che lo rendeva degno di morte, e l'imputato l'aveva commessa comunque, e davanti a loro!

Dura trovare qualcuno da giustiziare con norme del genere, vero? Specialmente per trasgressioni sessuali! La repressione dei rapporti omosessuali fu perciò affidata alla pressione sociale, ed alle autorità esterne alle comunità ebraiche. Quando queste autorità si dimostrarono assai tolleranti, come accadeva nei paesi mussulmani fino alla metà del 1800, anche gli ebrei omosessuali ne approfittarono alla grande.

L'epoca d'oro della letteratura ebraica si ebbe nell'Andalusia tra l'800 ed il 1200 circa, ed in essa fiorì anche la poesia omoerotica, in cui si distinse pure Giuda Levita (1075-1141), considerato il più grande poeta ebreo della storia; quest'epoca finì quando i cattolici riconquistarono la Spagna, ed una poesia ebraica omoerotica riemerse solo nel 1952, quando Allen Ginsberg pubblicò la sua opera "Urlo".

Ma già gli ebrei avevano dato il loro contributo alla liberazione delle minoranze sessuali - in ambito non religioso, basti ricordare l'opera del medico ebreo tedesco Magnus Hirschfeld (1868-1935), fondatore del Comitato Scientifico Umanitario nel 1897 e dell'Istituto di Scienze Sessuali nel 1919, che cercò di far abolire l'infame Paragraph 175 dal codice penale tedesco, e nel 1931 eseguì la prima operazione di "confermazione chirurgica del genere".

Purtroppo il suo lavoro fu interrotto dai nazisti (quando li vedete bruciare dei libri nel 1933, sappiate che erano i volumi della biblioteca dell'istituto di Hirschfeld), ed Hirschfeld morì in esilio in Francia.

Che fosse ora di mutare i ruoli di genere è provato anche dal fatto che nel 1935 sarebbe stata "ordinata" la prima rabbina di cui si abbia notizia, l'ortodossa tedesca Regina Jonas (1902-1944); dopo l'ordinazione, ebbe modo di esercitare per anni il suo ministero tra le comunità riformate, anche perché le persecuzioni naziste avevano ridotto drasticamente il numero dei rabbini uomini, fino alla morte ad Auschwitz.

Purtroppo la vicenda di Regina Jonas fu taciuta per molti anni, e così potè accadere che la seconda rabbina della storia, la riformata Sally Priesand, ordinata nel 1972 ed ora felicemente pensionata dal 2006, credesse allora di essere la prima.

Tornando alle persone LGBTQIA+, anche per gli ebrei il punto di svolta fu la rivolta di Stonewall iniziata il 28 Giugno 1969, che viene ogni anno ricordata nei Pride. Nel 1972 nacque a Los Angeles la prima sinagoga gay, Beth Chayim Chadashim, tuttora in ottima salute, riconosciuta nel 1974 dall'UAHC (ora Union for Reform Judaism) come una sinagoga riformata a tutti gli effetti.

Va però osservato che questa sinagoga non fu la prima realtà religiosa dedicata alle persone LGBTQIA+ - nei primi tempi della sua esistenza fu ospitata dalla Metropolitan Community Church di Los Angeles, fondata nel 1968 per includere le pesone LGBTQIA+, e divenuta col tempo la casa madre di una comunione cristiana che ora ha oltre 300 chiese in tutto il mondo, ognuna con la propria confessione di fede, tra cui una a Firenze che si rifà al luteranesimo, fondata nel 2014 (e ad essa è legato un gruppo in Lombardia), ed è osservatrice nel Consiglio Ecumenico delle Chiese. (A dire il vero, il termine "confessione"

Se nei primi tempi sia del cristianesimo che della psicoanalisi fu la rete delle comunità ebraiche a permettere ai due nuovi movimenti di organizzarsi ed espandersi, sembra che ora siano alcune confessioni cristiane un po' innovative ed un po' minoritarie a ricambiare il favore alle comunità ebraiche meno ortodosse. Grazie!

La stessa cosa sarebbe accaduta nel 1974 a New York City, con la fondazione di Beit Simchat Torah, che ora ha una magnifica sede che le permette di vantarsi di essere la più grande sinagoga LGBTQIA+ del mondo, ma che fu ospitata nei primi tempi dalla Chiesa (Episcopale) dei Santi Apostoli di Manhattan. Questo tipo di cortesia ecumenica è comune nel Nordamerica - di recente la sinagoga di Petersburgh, Ontario, ha ospitato la locale comunità islamica vittima di un incendio doloso, finché non veniva restaurata la loro moschea.

Il primo rabbino che lasciò che i giornali lo svelassero come gay fu il riformato Alan Bennett, colui che celebrò il funerale di Harvey Milk, nel 1978, mentre la prima organizzazione politica ebraica LGBTQIA+ era stata fondata a Londra nel 1972.

Nel 1980 fu fondato a Washington il Congresso Mondiale Ebraico delle Organizzazioni Gay e Lesbiche, che ora si chiama Keshet Ga'avah = Arcobaleno Gay, ed ad esso aderiscono due organizzazioni italiane - Non è in cielo di Verona, Magen David Keshet Italia di Roma.

Non tutto però filò subito liscio: se nel 1984 il movimento ricostruzionista ammise al rabbinato le persone dichiaratamente gay e lesbiche, nel 1992 il movimento conservatore rifiutò di celebrare le unioni omosessuali, e di ammettere ai ruoli di rabbino e cantore le persone lesbiche e gay; nel 2006 cambierà idea, ma l'essersi lasciato scappare in quella decisione del 1992 la locuzione "contro natura" è uno svarione che gli viene tuttora rinfacciato, perché è come se i decisori di allora avessero ammesso di essersi fatti plagiare.

Il primo rabbino ortodosso a fare il coming out, il già citato Steven Greenberg, lo fece nel 1999; e nel 2000 l'ebraismo riformato fece due passi importanti: il primo fu l'acconsentire a celebrare unioni omosessuali, il secondo l'aver fondato, nel suo seminario rabbinico di Cincinnati, l'Istituto per l'Ebraismo e l'Orientamento Sessuale, con lo scopo di combattere l'eterosessismo e rendere più inclusivo lo stesso ebraismo riformato.

Nel 2003 sarà il seminario rabbinico dei riformati ad ammettere il primo studente (sesso e genere a me sconosciuti) dichiaratamente transgender.

Nel 2004 sarà l'ebraismo umanista (a cui appartengo) a sostenere i matrimoni omosessuali, ma la svolta sarà più lenta per l'ebraismo conservatore.

Mentre l'ebraismo riformato, quello ricostruzionista e quello umanista limitano fortemente il valore normativo della Torah, quello conservatore cerca di mantenere uno stretto legame con essa; perciò, quando nel 2006 esso emise il suo "placet" ai rapporti omosessuali tra uomini, lo motivò ricordando che la dignità umana prevale su molte norme della Torah, e dichiarando le tradizionali norme contro i rapporti omosessuali come contrarie alla dignità umana, e perciò da disapplicare.

Quella deliberazione del 2006 è diventata un magnifico trattato sulla dignità umana nell'ebraismo, ma allora il movimento volle tenere distinte le cerimonie di impegno di una coppia omosessuale dai matrimoni eterosessuali; però nel 2012 esso decise invece di considerare matrimoni anche quelli omosessuali - però con un rituale distinto, di cui vengono proposte diverse versioni alternative.

Il problema più serio infatti è che il matrimonio ebraico tradizionale è concepito sulla falsariga di una compravendita - il marito compra la moglie, con un documento (il contratto nuziale), il pagamento (l'anello), l'impossessamento (ci siamo capiti).

Aldilà dell'evidente sessismo, quando si sposano due persone del medesimo genere, chi compra chi? Questo impone di rivedere il contratto nuziale ed il rito, e le forme proposte ai rabbini conservatori non hanno la rigidità di un messale, ma sono delle linee guida che consentono di improvvisare; la versione che mi piace di più è quella che concepisce il matrimonio non come una compravendita, ma come la costituzione di una società, disciplinata anch'essa dalla legge ebraica, tendenzialmente paritaria ed indifferente al genere dei soci.

Potrebbe essere il futuro del matrimonio ebraico, anche eterosessuale - visto che i ruoli all'interno di una coppia è meglio che siano gli sposi a definirli.

Nel 2015 la Corte Suprema USA ha legittimato in tutti i 50 stati il matrimonio omosessuale, ed a questo hanno contributo in modo determinante i tre giudici ebrei: Stephen Gerald Breyer, Elena Kagan, Ruth Bader Ginsburg - detta quest'ultima "RBG" perché, alla bellezza di 83 anni e dopo aver vinto il cancro, è ancora una donna determinata e temibile.

Prima che Jimmy Carter la nominasse giudice federale nel 1980, lei era il capo dell'ufficio legale dell'Unione Americana per le Libertà Civili, ed aveva vinto un sacco di cause per i diritti delle donne; Bill Clinton fece il resto portandola alla Corte Suprema USA nel 1993.

Potrebbe usurpare la fama di Felix Frankfurter, il giudice ebreo che nel 1960 non la volle tra le sue collaboratrici proprio perché donna, e piazzarsi vicino a Louis Dembitz Brandeis (1856-1941), ebreo anche lui, che gli americani considerano il miglior giudice che abbiano mai avuto.

Raffaele Yona Ladu
Ebreo umanista

martedì 5 aprile 2016

Pons asinorum

Un consiglio che mi permetto di dare alle matricole della Facoltà di Teologia Valdese è di scegliere come primo esame proprio il più mastodontico: Storia della Riforma (oltre 2200 pagine!).

Il consiglio vale soprattutto per i meno esperti di teologia calvinista - per l'esame infatti non si studia solo la storia vera e propria, ma anche il pensiero dei Riformatori, e perciò lo studente impara i presupposti di tutti gli esami successivi.

Mi sarebbe stato più facile Introduzione all'Antico Testamento, e più proficuo Introduzione al Nuovo Testamento, se avessi dato prima quell'esame; gli unici esami che non vengono facilitati, a mio avviso, dall'aver dato prima Storia della Riforma, sono quelli di ebraico e greco biblico.

Spiace cominciare una facoltà proprio dall'esame più grosso, ma così si capisce subito se si può trarne profitto. Per quello l'ho chiamato "pons asinorum".

Raffaele Yona Ladu